di Guido Viale. Giornalista. Pubblicato nel blog dell'autore il 25 novembre 2022.
Nel linguaggio sindacale e politico spesso si usa il termine lavoro per indicare il popolo di coloro che lavorano, assegnando al primo i meriti e la dignità che spettano solo ai lavoratori e alle lavoratrici, termini a cui si ricorre soprattutto, o quasi esclusivamente, in occasione di conflitti sociali o quando comunque emergono contraddizioni tra chi lavora e i “datori” di lavoro.
Ma i lavoratori e le lavoratrici non sono “risorse”, anche se è diventata consuetudine chiamarle così, ma persone: sono esseri umani inseriti in una rete di relazioni. Non solo: spesso è proprio il lavoro a ridurre ed ostacolare molte delle relazioni di cui si compone la personalità dei lavoratori e delle lavoratrici.
Visto sotto questa luce, il contrario del lavoro è la cura che può svilupparsi solo in un contesto di reciprocità. Il lavoro è finalizzato all’accumulazione del capitale e svolto per una remunerazione, nel contesto di uno scambio di mercato. .
La cura, invece, è contrassegnata dalla gratuità; anche quando è la componente aggiuntiva o prevalente di un rapporto di lavoro remunerato, come accade in (quasi) tutti i cosiddetti “lavori di cura”: dal medico al netturbino, dall’insegnante al giardiniere, dal contadino all’assistente sociale o familiare. La cura riguarda sia le persone, a partire da se stessi, sia le cose, l’ambiente, gli altri esseri viventi, al pianeta; per estendersi anche a ciò che resta al del passato e al futuro che possiamo influenzare.
sintesi di Alessandro Bruni
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