di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Il nuovo Governo ha deciso di chiamare il Ministero dell’Istruzione anche “del merito”.
In parlamento la destra ha trovato il consenso anche di Italia Viva e Azione in quanto per Marattin “l’avversione alla parola ‘merito’ deriva dal fatto che si dice ‘guardate, se voi premiate il merito, cristallizzate quelle che sono le situazioni di vantaggio relativo. Il punto fondamentale è comprendere che non esiste un’attenzione al merito senza un’ossessione verso l’uguaglianza delle condizioni di partenza, non di arrivo. Sentendovi parlare è troppo forte in me la tentazione di credere che voi, in realtà, vogliate l’uguaglianza delle condizioni di arrivo e non di partenza. Essa stessa, questa sarebbe il contrario del merito”.
Cuperlo (PD) intervenendo in Parlamento si è detto invece contrario ad aggiungere la dizione “merito”, in quanto si tratterebbe di un approccio “che tende a valorizzare più la meritocrazia che il merito in una scuola italiana che boccia di più della media europea (16% verso 12%) e che colpisce in particolare gli studenti delle famiglie meno abbienti (26% di bocciati)”. Nell’anno scolastico 2021 i bocciati in prima superiore sono stati in realtà 8,5% al 1° anno e 10,5% al 2° anno (è la prima volta che le bocciature sono maggiori al 2° anno, causa Dad/Covid; nel 2018 furono 13,1% al 1° anno e 8% al 2° anno). Non c’è dubbio che siano i primi due anni delle superiori quelli con più bocciati.
I 18-24enni che hanno abbandonato però prematuramente gli studi, rimanendo al più con il diploma di terza media, sono il 12,7% in Italia nel 2021. La media Ue27 è 9,7%, Francia 7,8%, Germania 11,8%. I valori maggiori sono al Sud (Sicilia, Campania, Calabria) e anche in questo caso colpiscono certamente (come dice Cuperlo) le famiglie meno abbienti. La dispersione costituisce anche un aggravio per le casse dello Stato. Perché, quasi sempre, un ragazzo bocciato ripete l'anno. Prendendo come base di calcolo il Costo Medio Studente, utilizzato dal Ministero per la ripartizione dei contributi statali alle scuole paritarie (pari a 8.736 euro a studente), il costo delle bocciature si aggira attorno a 1,57 miliardi di euro all'anno. Ecco perché la prima riforma sarebbe quella di eliminare le classi pollaio almeno al 1° anno, assumendo più docenti.
L’espressione merito fu proposta da Togliatti con un emendamento all’art. 34 della Costituzione che dice: “La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. E’ quindi evidente che anche per il PCI (e la sinistra) il merito così inteso è un valore, cioè la capacità di uno studente di mettere in luce i suoi talenti attraverso l’impegno personale, lo studio, la perseveranza al fine di essere considerato dal maestro capace e meritevole. Peccato che la nostra Università sia la più avara in Europa per le borse di studio per dare proprio ai “capaci e meritevoli” pari opportunità.
Personalmente non credo molto al vernissage nominalistico e quindi bisognerà capire cosa farà effettivamente, al di là del nome, il nuovo Ministro. Se proprio si voleva cambiare il nome si sarebbe dovuto chiamare Ministero dell’Apprendimento, in quanto l’Istruzione è solo una delle due vie principali che portano all’apprendimento (che è quello che conta). L’altra via è la Sperimentazione (Discovery Way) per cui all’estero si dà molta e sempre più importanza all’apprendimento che viene da questa via che usa i laboratori e l’esperienza pratica, fino al lavoro vero e proprio in contesti di apprendimento. Ed è significativo, a mio avviso, che su questa questione ci sia una grande ignoranza in Italia, in quanto è questo il principale limite del piano di studi delle nostre scuole. Qui sta anche la ragione per cui gli Istituti Tecnici e Professionali sono diventati dei Licei (spesso di serie B o C), essendo il Liceo (e l’Istruzione) di fatto l’unico modello della scuola in Italia.
Quando Cuperlo si lamenta del tasso elevato di bocciati in Italia saprà senz’altro che ciò avviene al primo anno degli Istituti Professionali e Tecnici, dove finisce la maggioranza degli studenti delle famiglie povere e meno abbienti, molti dei quali hanno sviluppato un’avversione per la scuola dell’”Istruzione” basata prevalentemente sulla docenza ex cathedra. Questi studenti non solo non trovano una scuola molto diversa da un liceo (i laboratori e le materie di apprendimento tramite sperimentazioni sono limitate a 4 ore su 36) ma si ritrovano in classi “pollaio” con 27 alunni, quasi sempre con metà immigrati che danno spesso ai docenti grossi problemi perché provengono da famiglie separate o svantaggiate. Questo sarebbe quindi il primo intervento da farsi per dare uguali opportunità a questi studenti svantaggiati. L’eguaglianza evocata dall’art. 3 della Costituzione non è l’eguaglianza dei punti di arrivo, ma l’eguaglianza dei punti di partenza. La Repubblica è tenuta ad assicurare che il nastro di partenza sia eguale per tutti, fermo restando che alla fine della corsa i partecipanti occuperanno posizioni diverse acquisite attraverso il “pieno sviluppo della persona umana”, “secondo le proprie possibilità, la propria scelta” (art. 4): sviluppo e possibilità che ovviamente variano da persona a persona.
Il merito è un criterio di distribuzione di risorse scarse (per es. i posti di pubblico impiegato) ed è un requisito del successo nella competizione economica, dove però sappiamo si affermano anche truffatori, manipolatori e falsi leader. Ci sono, tuttavia, molte risorse scarse che, secondo la Costituzione, vanno distribuite secondo criteri diversi dal merito. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale (art. 38 co. 1); gli inabili ed i menomati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale (art. 38 co. 3); la Repubblica assicura cure gratuite agli indigenti (art. 32); nei casi di incapacità dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, la legge prevede a che siano assolti i loro compiti (art. 30 co. 2). In questi casi è la povertà (degli indigenti, di chi non ha i mezzi necessari per vivere) che giustifica l’assistenza pubblica o le prestazioni sanitarie pubbliche; una menomazione fisica o psichica delle persone (gli inabili al lavoro) o la vulnerabilità dei minori, ai quali i genitori non possono o non vogliono assicurare le cure cui sono tenuti, fanno scattare il dovere delle Istituzioni di provvedere. Qui l’intervento pubblico prescinde dalla meritevolezza del soggetto che ad esso ha diritto. La “meritevolezza di tutela” di cui si suole parlare non esprime il merito della persona, ma descrive uno stato di debolezza involontaria della persona stessa (l’invalido, il minore, il povero malato) che costituisce il fondamento del diritto alla prestazione pubblica.
L’espressione del Cristo: “E non giudicate, e non sarete giudicati” (Luca 6, 37) non significa che un maestro non possa dare un voto al compito svolto dall’allievo, ma che dovrà sempre valutare lo sforzo individuale che ha fatto il singolo. Per fare un esempio grossolano se due studenti fanno un compito da 6, non significa che necessariamente abbiano fatto lo stesso sforzo; se infatti uno studente partiva da livello 2 e l’altro da livello 5, lo sforzo è stato ben diverso. Questo (credo) sia il significato profondo del passo evangelico. Un buon maestro dovrà quindi, a parità di risultato, valutare lo sforzo e la posizione di partenza del singolo studente e comunque sempre distinguere la persona dal lavoro svolto.
Le nostre società e scuole dovrebbero introdurre il concetto che ogni Essere Umano è diverso, come gli alberi, non c’è uno uguale all’altro e ciascuno seguirà una propria via sviluppando i propri talenti. Il fatto è che la società diventa sempre più diseguale e se, ai tempi di Adriano Olivetti, il manager guadagnava 10 volte il salario di un operaio, oggi siamo arrivati a mille. Non c’è dubbio, tuttavia, che il merito, nella sua corretta interpretazione “azione o qualità che rende degno di lode”, “dovuto alla qualità di una persona” sia un parametro importante nella scuola. La meritrocrazia è invece la “valorizzazione delle persone meritevoli nella società moderna” che ha assunto dimensioni patologiche nei differenziali retributivi e da cui nasce una disuguaglianza che i più considerano (giustamente) inaccettabile e che non fa onore alle nostre attuali società basate su differenziali di compenso senza precedenti nella storia al punto che neppure il Faraone aveva una tale differenza col suo ultimo operaio.
Vedremo coi provvedimenti concreti cosa intende Valditara per merito e non solo nei confronti degli studenti, in quanto ha spiegato che il riferimento del termine “merito” riguardava anche il personale della scuola che meriterebbe di fare carriera come in tutta l’amministrazione pubblica. E vedremo se confermerà o meno la linea avviata dal suo predecessore, Patrizio Bianchi, che ha introdotto premi e incentivi per non oltre il 3-4% del personale docente (tra l’altro da assegnare solo tra dieci anni). L’idea di un “premio incentivante” così selezionato per una ristretta élite potrebbe non piacere al Ministro del merito... Vedremo cosa farà.