di Federico Marchetti. Uoc di Pediatria e neonatologia di Ravenna. Direttore della rivista Medico e Bambino. Pubblicato in Forward di ottobre 2022.
Ora tutti ne parlano, i giornali, i medici e persino i politici. A ottobre 2022, a distanza di più di due anni dall’inizio della pandemia, ci si è resi conto che esiste un problema rilevante di salute mentale che riguarda un po’ tutti – e in particolare gli adolescenti.
Di che cosa stiamo parlando
La salute mentale non è un disturbo e nemmeno l’assenza di disturbi. È uno stato di salute. Spesso la salute mentale è legata al benessere, un concetto più ampio che coinvolge la salute, il reddito, la nutrizione e il benessere psicologico. I disturbi mentali possono esistere su un continuum, che comprende disturbi di diversa entità, dal disagio lieve e temporaneo a disturbi gestibili, che possono diventare cronici o meno, a disturbi psichici progressivi e gravi.
Di cosa abbiamo bisogno
Quando parliamo di questi aspetti (che hanno profonde basi scientifiche) non riusciamo a capire che quello che appartiene a un processo di tutela della salute mentale (collettivo o individuale) non può essere visto ancora con l’estemporaneità e infruttuosità di provvedimenti (come quelli del bonus psicologo) o di inutili proclami. La domanda allora è quella di cosa avremmo bisogno per aiutare ad esempio quel 20 per cento stimato di adolescenti con stati di ansia o depressione (più o meno gravi), raddoppiati rispetto al periodo prepandemico, per non parlare delle situazioni in incremento esponenziale dei disturbi della condotta alimentare.
Il rischio è di reclutare personale (psicologi, educatori, infermieri) per contratti a breve termine, con l’unico obiettivo di evadere le liste di attesa, senza una prospettiva di rete che non insegue i disagi ma che li prevede e previene, con un’assistenza partecipata e modulata per livelli di intensità delle cure, come noto da anni dalla famosa piramide di intervento che è rivolta a un supporto psicosociale complessivo.
Che cosa dobbiamo fare
Fondamentale, in tutto questo, è il ruolo della scuola che dovrebbe fornire a bambini e ragazzi una prospettiva di presenza e di qualificata funzione educazionale e di dialogo, con progetti innovativi, con una visione che vede il rischio non nei contagi, ma nella mancanza di una prospettiva di connessioni e innovazione fatta anche di consapevole sperimentazione.
Reti e connessioni appunto, di quelle però non estemporanee ma strutturate, che non devono vivere più questa inutile divisione tra la dimensione territoriale e quella ospedaliera. Il bisogno è della persona, non dei servizi. Il progetto di cura appartiene a un progetto. E i servizi sono funzionali a una domanda (esplicita o meno), non a una struttura rigida che negli anni non si è adattata per rispondere in modo consapevole e partecipe a vecchi e nuovi bisogni.
sintesi di Alessandro Bruni
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