di Nicola Manferrari. Imprenditore.
Ndr. Nicola Manferrari ci ha inviato acute osservazioni sul post di Andrea Gandini. Abbiamo ritenuto dare rilievo alla discussione pubblicando quanto ci ha scritto in questo post.
Di mestiere faccio il vignaiolo. Nel mio lavoro l'organizzazione fordista proprio non è buona e dove s'è tentata ha prodotto disastri. Il motivo è che noi lavoriamo con la vita e il fordismo ha successo con la materia morta.
Il presupposto della organizzazione "scientifica" di Taylor era il totale controllo dei fattori di produzione, uomo compreso, al fine di ottenere una perfetta prevedibilità. Condizione necessaria a realizzare illimitata riproducibilità ed economie di scala. Due Ford T che non fossero assolutamente identiche avrebbero mandato il sistema in tilt.
Per contro la vita, così come la conosciamo, si fonda sull'imprevedibilità, l'elemento che consente l'evoluzione. Siamo figli del caso. E' alle mutazioni e ai sistemi di riproduzione che prevedono la ricombinazione genetica, del tutto casuale e dunque imprevedibile, che dobbiamo l'evoluzione e il nostro esistere con quello di tutti i compagni di biosfera.
In un'organizzazione che funziona non si può disgiungere il decidere dal sapere e in un'organizzazione verticale il vertice deve conoscere. L'industria prospera lavorando materia morta. Nell'industria del legno si cerca di eliminare l'eco della vita dell'albero che fu con con i lamellari, i truciolari, i tamburati, i compensati, le faesiti. Infatti le fibre, i nodi del legno sempre imprevedibili generano problemi, ci vogliono i falegnami per saper prendere una tavola dal verso giusto. L'industria, figlia di Taylor, questo non lo può e non lo deve tollerare, deve operare nella riproducibilità, e per farlo deve garantirsi il controllo dei fattori di produzione (materia prima inclusa).
Per l'ingegnere americano era persino male che alla base dell'organizzazione di fabbrica si sapesse qualcosa: riteneva sbagliato assoldare artigiani per popolare gli stabilimenti della nuova industria. Perché costoro detenendo un sapere potevano generare resistenze e dunque sacche d'imprevedibilità nei processi produttivi. No, meglio manovali totalmente ignari cui far apprendere pochi gesti da ripetere in modo perpetuo.
Tuttavia la seconda rivoluzione industriale c'è stata e ha prodotto una rivoluzione culturale. Oggi è disdicevole imbandire un banchetto con bicchieri scompagnati, quando nelle principesche corti antiche era normalissimo che i vini più pregiati fossero serviti in artistici bicchieri tutti diversi in quanto preziosi pezzi unici. Per noi la rassicurante serialità è preferibile allo stupore dell'imprevedibile. La nostra cultura della civiltà industriale fa difficoltà a integrare in se stessa la vita e le sue leggi che si fondano sull'imprevedibilità. Ed ecco i disastri ecologici, ambientali, ed ecco i rimedi proposti per arginare i disastri talvolta ancor più disastrosi. Ed ecco che a scuola ci insegnavano Newton e sulla meccanica quantistica, almeno ai miei tempi, si sorvolava (Dio, può giocare a dadi?).
Dunque sono questi uomini, forgiati dal taylorismo, che dobbiamo inserire nelle nostre organizzazioni. Impauriti dall'imprevisto, dalla responsabilità di decidere, dalla responsabilità in generale, gelosissimi del proprio particolare, spesso incapaci di vere relazioni orizzontali essendo formati per quelle verticali, deprivati di una lingua utile a quelle (vedi Don Milani e il suo pallino di una lingua per tutti) allenati alla piramide e a cercarne la punta, non al cerchio e a guardarsi in giro, paurosi in sostanza della vita. Olivetti negli anni '50 aveva a disposizione altri uomini. Erano contadini a bassa scolarità, portatori di altri valori, quelli di una società comunitarista e solidale, non deprivati da una scuola (anch'essa diventata sempre più taylorista) della - forse - innata capacità di autoorganizzazione delle comunità umane.
Lessi anni fa in un libro di storia dell'anarchia del tentativo, occorso in epoca moderna in Spagna, di organizzazione sociale di tipo anarchico su dimensione statale. Sosteneva che tutto sommato, a parte alcuni eccessi, seppe funzionare e per molti mesi. L'autore spiegava questo con il fatto che la Spagna dell'epoca era una società prevalentemente contadina dotata di una cultura comunitarista fondata su basi solidaristiche e pertanto capace di autorganizzazione. Aggiungeva che un tale esperimento sarebbe impensabile per una società industrializzata. Come convivere senza giudici e carabinieri, come produrre senza capetti e ispettori? Semplice, rispondeva l'autore, le organizzazioni sociali comunitariste fondano la convivenza su valori condivisi rendendo esecutivi gli stessi con meccanismi reputazionali. Vieni meno alla parola data? la comunità non ti concederà fiducia e ti metterà all'angolo (non serve il carcere).
Mi avvicinai a Taylor, senza saperlo, nei primi anni '90 quando studiai un poco i "sistemi di qualità" allora di moda, con l'intento di calarli nella mia piccola azienda. L'idea era di elaborare strumenti capaci di consentire a ciascuno, anche al meno esperto, di poter essere inserito nell'organizzazione. Studiavo sistemi pensati per le grandi organizzazioni industriali. Elaborai sofisticate proceduralizzazioni del lavoro viticolo. Mi ci vollero anni per capire il non senso di ciò che facevo. Studi quantificano in ca. tremila miliardi il numero di alberi presenti sul pianeta: 3.000.000.000.000 tutti uno diverso dall'altro. E così sono le mie 30.000 viti, tutte diverse una dall'altra. Afflitte da problemi diversi, con alle spalle una vita diversa, che affondano le radici in porzioni di suolo sempre diverse. Assai difficile con una procedura guidare le mani di un potatore inesperto così come Taylor faceva con i suoi operai.
Il bravo potatore è tale se sa sviluppare un'intelligenza empatica, se impara a sentire con la vite. Se impara a cogliere dalla vite i segnali che invia. Mentre poto, questi giorni sto potando, provo in me gioia per una vite che sta bene, sofferenza per una vite che soffre, dolore per una vite che muore. Questo sentire non ci può stare in una procedura. Si può apprendere non da una lezione verticale, ma per osmosi in immersione orizzontale.
Non è facile sradicare la piramide che sta in testa ai tanti che dalle scuole vengono alla terra. Organizzare chi per abitudine (scolastica?) preferisce memorizzare sommatorie di gesti rifiutando i nessi che li legano. Chi non è abituato a prendere punti di vista di chi è altro da sé (il collega, l'azienda, una vite). Poi non è facile organizzare in modo orizzontale persone caratterizzate da grandi differenze di sapere. E difficile è colmare tali differenze di conoscenza se manca una lingua buona o è perduta l'innata capacità di apprendere per imitazione. E infine, propedeutica all'imparare è la curiosità, che fare se questa viene a mancare forse perché atrofizzata sui banchi di scuola?
Man mano che maturavo la consapevolezza dell'inefficienza della piramide, costruivo organizzazioni più verticali. Ora se posso organizzo il lavoro in cantieri con me al centro, in modo da poter comunicare il lavoro per via visiva, potendo mostrare con le mani e seguire con lo sguardo. Certo che non va bene, ma un imprenditore - e un contadino è sempre un po' imprenditore - non è un mago ma un organizzatore di risorse e deve cercare di fare meglio che può con quello che ha.
Bene criticare la piramide, tuttavia bisogna chiudere il cerchio.