di Redazione di Redattore sociale. Pubblicato il 20 gennaio 2023.
L’immagine di un caregiver è spesso associata a quella di una donna adulta, più o meno giovane a seconda che sia madre di figli piccoli o già grandi e, talvolta, figlia lei stessa di genitori anziani. Quasi mai, invece, si pensa che una anche una persona giovane possa trovarsi nella necessità di prendersi cura di un padre o di una madre con malattie croniche, problemi fisici o di salute mentale, dipendenze da alcol o da droghe. Sono molte le situazioni che vedono impegnati i giovani caregiver: a volte si occupano di un fratello o di una sorella con disabilità, come avviene nel caso dei cosiddetti sibling, oppure sono ragazzi di seconda generazione, che fin da giovani si trovano a dover supportare le proprie famiglie, in difficoltà rispetto alla burocrazia, le visite mediche, la vita quotidiana in un paese straniero.
Prendersi cura: un’arma a doppio taglio
Secondo l’Istat (dati 2016) i giovani caregiver sarebbero il 7% della popolazione tra i 15 e i 24 anni, ma il fenomeno si conosce poco anche a causa della reticenza di chi è coinvolto in prima persona. “I ragazzi che vivono questa condizione hanno responsabilità maggiori rispetto ai loro coetanei, e queste responsabilità a volte possono diventare eccessive – spiega la presidente di Young Care Italia, Samia Ibrahim –. Perché, se svolgere dei compiti di cura nei confronti dei propri familiari può rivelarsi sano e perfino proficuo a livello pedagogico, quando il carico diventa eccessivo si possono generare delle problematiche psicologiche, come l’ansia, la depressione o, più in generale, la difficoltà nel riconoscere i propri bisogni e le proprie emozioni.
sintesi di Alessandro Bruni
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