di Ottavio Raimondo. Racconto per l’incontro di 51 favole disobbedienti tenutosi a Modica (PA) il 6 gennaio 2023.
p. Ottavio Raimondo, comboniano della Comunità Missionaria di Modica, è nostro buon amico che ci legge e che in occasione dell'Epifania ci ha inviato una favola garbata e piena di significati che volentieri pubblichiamo.(admin).
C’era una volta un castello pieno di ogni ben di Dio.
Oltre il fossato che lo circondava c’era un altro mondo fatto di case povere, di capanne, di gente che faceva difficoltà a vivere.
Nel castello si facevano affari e tante feste. Del villaggio attorno ci si interessava poco. L’importante che continuassero ad arrivare carri pieni di merci. Gli abitanti del villaggio erano considerati gente sporca, oziosa e attaccabrighe. E se qualche persona del villaggio riusciva a entrare nel castello veniva cacciata via o condannata a fare lavori umili che nessuno voleva fare.
Ma un giorno accadde un fatto incredibile. Avevano organizzato una grande festa con un grande banchetto.
I servi portano il pane che doveva essere fragrante e invece sapeva di muffa. Portano il vino e chi lo assaggiava faceva fatica a non sputarlo in faccia agli altri invitati.
Il conte era infuriato e voleva sapere da dove venisse quella robaccia. La farina e i fornai erano gli stessi di prima e il pane era immangiabile. Così era del vino. E senza pane e senza vino non c’era più sapore di famiglia, né gioia attorno alla tavola.
Dopo pochi giorni arrivò la notizia che nel villaggio il pane e il vino erano buoni come prima.
Allora si decise di andare a fare rifornimento al villaggio.
Ma quando il pane e il vino erano portati nel castello, quasi fosse una magia, diventavano immangiabili, imbevibili.
Gli abitanti del castello allora decisero di uscire portando i loro cibi e mangiandoli con gli abitanti del villaggio.
Si accorsero che gli abitanti del villaggio non erano come li pensavano, non erano né stupidi, né violenti.
Ma rimaneva il mistero del pane e del vino che nel castello subito andavano a male.
Fu un bambino a suggerire la soluzione. Ecco come.
Un giorno un bambino uscito dal villaggio portò un giocattolo a un amico che aveva incontrato nel villaggio e questi offrì al bambino del castello un grosso pezzo di pace dicendo: L’ha cotto mia mamma ma prima che lo mettesse nel forno sono riuscito a incidere sul pane una “A”
“A”, che significa?
Significa “A te”, Ma anche: Amicizia, Amore, Animali-Amici – e, soprattutto “Arrivederci spesso”.
Grazie Jacobo, esclamò Rigoberto che pensava di conservare quel pane fuori del castello.
Ma Rigoberto dimenticò il pane nel suo zainetto.
Quando aprì lo zainetto pensava di dover tirar fuori quella cosa viscida e disgustosa... E invece trovò il pane ancora fragrante.
Rigoberto cominciò a gridare in giro: Il pane è buono, il pane è buono.
E quel grido aprì gli occhi alla gente del castello.
Capirono che la corruzione del pane e del vino non dipendeva dagli elementi della natura né dalla lavorazione ma che nel castello ormai mancava del tutto amicizia, amore, rispetto per la natura e per le persone. Mancavano l’”A te”. Mancavano relazioni umane semplici e aperte a tutti. “l’arrivederci”.
Si capì che a poco a poco tutto sarebbe ammuffito, non solo il pane e il vino.
Si decise allora li levare il ponte levatoio, si spianò il fossato, furono abbattute le mura.
Non c’è più dentro e fuori, ricchi e poveri, castellani e abitanti del villaggio ma solo persone chiamate a camminare insieme su quella strada di dolore e di speranza che si chiama vita.