di Chiara Nardini. Infermiera. Presidi ospedalieri di Ravenna, Faenza e Lugo. Pubblicato in Forward di ottobre 2022.
Nessuno di noi quando ha scelto di essere infermiere o medico ha mai pensato, credo, di trovarsi nel mezzo di una pandemia. Qualche anno prima che arrivasse la pandemia avevo accettato la sfida di costruire un progetto organizzativo per seguire le famiglie con figli ad alta complessità assistenziale sul mio territorio. Stavo iniziando a raccoglierne i frutti cercando di aggiustare i percorsi di rete facendo anche piccole ma continue modifiche, alla ricerca, chissà, di qualcosa di impeccabile. E, così concentrata sul mio, che la Cina avesse comunicato la diffusione di un cluster di polmoniti “atipiche” e che fosse in lockdown lo percepivo come una cosa molto lontana da noi. Inutile raccontarvi che tutto è andato velocemente, forse troppo.
Siamo stati contagiati prima dalle emozioni che dal covid. Emozioni che hanno dei nomi precisi: la paura (per la propria incolumità e quella dei propri cari), il senso di responsabilità, i sentimenti di solitudine, l’impotenza, la rabbia.
Siamo prima stati contagiati dalle emozioni che dal covid.
Comincio a fare qualche telefonata alle mie famiglie per ribadire le indicazioni ministeriali e percepisco sì preoccupazione, del resto nessuno aveva ben chiara la portata di ciò che ci stavamo preparando ad affrontare, ma anche tranquillità.
Come mai? Man mano che facevo chiamate mi rendevo conto del mio grande sforzo di nascondere dietro un tono rassicurante e deciso tutto il fermento di quelle giornate, della mia fatica a rendere invisibile agli altri il mio conflitto tra personale e professionale, alla mia stessa ricerca di risposte che andava in contrasto con la grande capacità di accettare ciò che al telefono ribadivo alle famiglie. Non fanno domande (alle quali forse non sarei neppure stata preparata a rispondere), hanno chiaro tutto ciò che dico loro.
sintesi di Alessandro Bruni
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