di Simona Segoloni. Pubblicato in Servizio della parola n° 544/2023 gennaio - febbraio 2023.
Restare credenti è sempre stata una abilità non da poco, esposta a mille pericoli e difficoltà. Nel contesto odierno, però, potrebbe sembrare ancora più difficile, e questo per una serie di fattori che incidono sul vissuto sociale ed ecclesiale, anche se poi – in ultima istanza – tutti questi fattori potrebbero rivelarsi la nostra migliore risorsa.
Il primo elemento da considerare è il venir meno della pressione sociale che portava ad uniformarsi a stili di vita e a convinzioni che si potevano ricondurre alla fede cristiana.
Andare a messa la domenica, sposarsi in chiesa, assumere certe abitudini (dal mangiare di magro di venerdì al mandare i figli al catechismo) era assolutamente naturale, come oggi comperare uno smartphone. Ai nostri giorni non è più così, anzi la situazione è rovesciata. Il contesto sociale spinge verso la non credenza e la non appartenenza ecclesiale: per credere e per decidere di appartenere alla chiesa occorre una presa di posizione personale, forte e motivata, capace di rendere ragione della propria fede in contesti in cui essa appare perlopiù come una stranezza. Certamente credere in questo modo è più impegnativo, ma forse nell’altro modo la fede era così subordinata ad altri elementi (tradizione, reputazione, vantaggi sociali) da diventare secondaria e quindi molto spesso per nulla incisiva nel vissuto interiore e pratico, che al di là delle forme proseguiva per proprio conto.
A questo cambiamento mi sembra doveroso aggiungere che oggi non è più una buona motivazione per essere credenti neppure il bisogno di sentirsi amati e lenire le proprie ferite emotive.
sintesi di Alessandro Bruni
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