di Stefano Allievi. Sociologo del mutamento culturale. Pubblicato nel blog dell'autore e in Corriere veneto del 24 gennaio 2023.
Viviamo in una società che sente di doversi e doverci proteggere da tutto, e che spesso ci impone di farlo. Preventivamente. Ragionevole, all’apparenza: salvo che la deriva comincia a sembrare un po’ estremista. Quando se ne estende troppo l’ambito di applicazione, più che la cura o la soluzione, questo atteggiamento mentale comincia ad assomigliare pericolosamente alla malattia, o a una sua caricatura.
Pensiamo alla attuale discussione sull’introduzione, anche sulle bottiglie di vino, di apposite minacciose etichette tipo quelle che ci sono sui pacchetti di sigarette. E sulla sua supposta pericolosità intrinseca, cancerogenicità o quant’altro. È una mentalità che sembra figlia della ossessione di cui sopra. Tutto, potenzialmente, fa male. Tutto è pericoloso. Tutto può essere persino mortale.
Il fumo. Il vino e gli alcolici bevuti in eccesso. Ma anche il caffè, o le bevande zuccherate. Persino l’acqua, volendo, in quantità eccessive si usa in uno specifico tipo di tortura (sì, lo so, è un paradosso: ma spesso ci aiutano a comprendere meglio la realtà). Poi si comincia con i cibi, e se si eccede non so quanti se ne salvano: a cominciare naturalmente dal cibo spazzatura, per il quale tuttavia non si parla di etichettatura (dovremmo etichettare interi scaffali di supermercato). Si prosegue con gli attrezzi con cui li prepariamo (il terribile coltello). Si continua con l’automobile. Ma anche la bicicletta, si sa. Persino l’inventore del jogging, attività salutista per eccellenza, Jim Fixx, diventato ricco e famoso con i suoi libri e i suoi insegnamenti, è morto di infarto a soli 52 anni, proprio al termine della sua corsa giornaliera.
sintesi di Alessandro Bruni
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