di Massimo Recalcati. Filosofo e analista lacaniano della società. Stralcio di intervista pubblicata in Alzogliocchiversoilcielo e in Corriere Torino del 11 gennaio 2023.
Il 2023 è cominciato con una sequela di perdite pubbliche importanti. Che valore ha per l’individuo il lutto «collettivo»?
«Il passato non è qualcosa che si deposita passivamente alle nostre spalle. Noi lo facciamo esistere. La dimensione individuale collettiva del lutto implica questa responsabilità: cosa è stato per me? Cosa è stato per noi? Saremo dei giusti eredi? Continueremo a fare esistere la sua luce?».
Dopo il Covid e con la velocità di questi anni, qual è il posto del lutto nella nostra società?
«Il nostro tempo non ne vuole sapere della morte. Non ne vuole sapere dell’esperienza del limite, né di quella della perdita. Sponsorizza il godimento immediato, i miti del nuovo e del successo. Il tempo del lutto non è necessario. Il Covid ci ha ricordato che la morte è sempre presente, che possiamo provare a negare i nostri limiti ma che essi continuano ad esistere. La nostra onnipotenza si è capovolta in impotenza e in impreparazione di fronte alla violenza del male. Avremmo almeno imparato qualcosa?».
Affrontare il tema della morte, per alcune religioni, è cruciale. Quali sono gli strumenti che abbiamo a disposizione per farlo?
«La paura della morte non è diversa dalla paura della vita: è un punto centrale del buddismo, ma anche della parola di Gesù. Vivere significa perdere sempre una parte di sé, accettare che non si può governare ogni cosa, significa esporsi all’ingovernabile. E la morte incarna la dimensione più radicale dell’ingovernabile».
sintesi di Alessandro Bruni
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