di Alessandro D’Avenia. Sintesi di Alessandro Bruni.
Una scuola di cui nessuno parla
Nelle ultime settimane parte della nostra emotiva attenzione mediatica è stata catturata da una mamma finlandese in fuga dalla scuola italiana, da una bidella pendolare tra Milano e Napoli, da una professoressa bersaglio di pallini, da alunne che assumono tranquillanti prima di una prova... La scuola buca l’opinione pubblica quando la notizia (spesso manipolata) acchiappa il clic. Risultato? Tanti riflettori, poca riflessione, nessun riflesso.
Ho quindi raccolto stralci di quattro lettere ricevute di recente che invece mostrano un ordinario senza riflettori ma bisognoso più che mai d’azione.
- 1. Docente precaria: Insegno alle superiori, anzi no: dove mi lanciano atterro!
- 2. Una madre: Sono rappresentante genitori di una classe di superiori.
- 3. Un professore: A maggio ho superato la prova scritta del concorso ordinario.
- 4. Una coppia con figlia: Iscritta al primo anno di superiori in un istituto pubblico ai vertici delle graduatorie delle scuole.
Che cosa mostrano queste lettere? Che l’ecosistema necessario alla fioritura di ciascuno grazie a relazioni autentiche e stabili nel tempo, non funziona se è affidato a meccanismi digitali ciechi, burocrazia inefficiente e a persone che quelle relazioni non possono o non riescono a curarle.
Spero che queste testimonianze (ne ricevo quotidianamente) possano servire al ministro e ai dirigenti sindacali per una improcrastinabile riforma dell’ambito da cui dipende la qualità della scuola: formazione, reclutamento, verifica e valorizzazione delle capacità educative e didattiche dei docenti (non è carisma, empatia o fortuna, ma professionalità).
Senza una scuola di qualità per tutti e affidata a Maestri messi in condizione di esserlo davvero, non ci può essere pieno sviluppo della persona umana né quindi reale partecipazione alla vita.
Pubblicato in Alzogliocchiversoilcielo e in Corriere della sera del 30 gennaio 2023.
Stanchezza e vergogna
Qualche giorno fa una ragazza si è tolta la vita con una sciarpa nel bagno di un’università milanese: nel biglietto d’addio chiedeva scusa per i suoi fallimenti.
Vorrei andare oltre la critica alla cultura della performance per capire piuttosto come curare in tempo le ferite che uccidono, fisicamente o spiritualmente, i futuri ventenni. Bisogna che anche la scuola serva per dare ai giovani una ragione per vivere, una ragione sufficiente per cui dare la vita, una causa per cui lottare.
Ai miei studenti dell’ultimo anno dico: «Per avere la maturità (non l’esame, formalità superata dal 99,5% dei maturandi) dovete riuscire a rispondere a una sola domanda: perché sei venuto al mondo?».
La risposta smaschera le finzioni (copioni di vita imposti o interiorizzati ma non propri) con cui cerchiamo di armare il nostro ego e indebolisce la paura che paralizza le scelte e quindi la crescita.
Provo a rispondere io: sono venuto al mondo per aiutare altri a trovare il proprio destino, attraverso la bellezza. Scrivere, insegnare, raccontare a teatro... sono modi di realizzare, nello spaziotempo in cui vivo, ciò per cui sono qui.
A molti ragazzi oggi manca «il perché», dato che non li aiutiamo a trovare e a far fiorire (in famiglia e a scuola) soffocandolo con decine di «come» e di «che cosa» fare.
Nei periodi di pace i suicidi dei giovani aumentano, smascherando il vuoto di una cultura che, non offrendo ragioni per vivere, è poi costretta a darsene una per morire, come la guerra. È una pulsione che Freud chiama «di morte», opposta all’unico fine perseguito dalla specie: la sopravvivenza (conservazione e perpetuazione). Quest’ultima però non è sufficiente, non ci basta sopravvivere, noi vogliamo vivere «sopra», cioè dare un senso alla vita, e se non lo troviamo decidiamo incredibilmente di dare e/o darci la morte.
Troppe scelte, nessuna che valga la vita, la seduzione della morte e le ferite generazionali: stanchezza e vergogna, quelle che portano al suicidio una ventenne. Che fare? La risposta di Antigone è valida da quando fu pronunciata quasi 25 secoli fa: «Io sono nata non per odiare ma per amare».
La giovane Antigone afferma che il suo destino è «con-amare» e non «con-odiare», cioè creare legami (essere amata e amare) e non catene (essere odiata e odiare), cioè guerra, in ogni forma, tra singoli o popoli, di parole o fucili.
Il sapere «perché» si è venuti al mondo, ieri come oggi, resta quello di far sentire ai ragazzi questa «appartenenza» (relazioni autentiche e stabili) che consente poi loro di «venire al mondo» con coraggio, da infanti a fanti, che vanno «alla vita» e non «alla guerra».
L’assenza di relazioni di appartenenza significative, legame profondo con la vita, impedisce di darla: solo chi viene «da» poi può essere «per», se non sono in cordata non avanzo e non conto per nessuno (non sono insostituibile), sono uno «slegato».
Bisogna provare a vivere in queste domande: a chi appartengo e chi mi appartiene? Perché sono venuto al mondo? Che cosa posso essere e fare solo io, oggi, per aumentare la vita in e attorno a me?
Pubblicato in Alzogliocchiversoilcielo e in Corriere della sera del 6 febbraio 2023.
L’insegnante che manca di Enzo Bianchi. Sintesi di Alessandro Bruni.
A partire dalla straordinaria esperienza fatta come docente universitario, ho continuato ad avere rapporti con gli studenti ascoltando la loro insoddisfazione per la mancanza di insegnanti: non di professori che facciano lezione, ma di autentici insegnanti, portatori, datori e trasmettitori di segni, simboli, chiavi ermeneutiche per interpretare la realtà e la vita.
L’in-segnante è colui che fa segno, che indica l’orizzonte, che aiuta nel trovare l’oriente da dove scaturisce la luce, perché insegnare ha a che fare con il problema del senso nella sua triplice accezione di significato, orientamento, sapore/gusto. È nella ricerca del significato che si comprende la realtà, il mondo; è nel discernere l’orientamento che si aderisce al destino della vita e si trova un fine all’esistenza; è nel sapore/gusto che vengono mobilitati i sensi per accedere alla bellezza dell’opera d’arte.
Certo, in una società senza padri questo rapporto è delicato perché l’insegnante deve sentirsi non un padre ma un traghettatore, tutt’al più un iniziatore nei confronti del giovane, che vive in un mondo in cui si è gettati nella vita, piuttosto che accolti e accompagnati.
In un contesto di crisi di autorevolezza che è essenziale nei processi di educazione, di trasmissione del sapere e dell’arte del vivere, l’insegnante deve tradere, trasmettere, saper donare parole. Quando ascolto i giovani studenti sento che questa è la loro ricerca: trovare qualcuno che faccia loro segno su come entrare nella vita. Pubblicato in Alzogliocchialcielo e in La Repubblica del 6 febbraio 2023.
Riflessioni sul bullismo
di Giuseppe Maiolo. Sintesi di Alessandro Bruni.
Si trovano e neanche tanto nascostamente. Si riuniscono infiammati come da un flash mob che li aggruppa per protestare contro le ingiustizie o la possibile catastrofe climatica.
Sono gli alunni della generazione Z che sanno mobilitarsi per cose importanti ma che pure sono arrabbiati, delusi e senza prospettive. Li abbiamo cresciuti noi dando loro illusioni sul futuro e ora non sanno contenere l’insoddisfazione, men che meno la rabbia.
Oggi le nuove generazioni non dormono e non sognano perché stanno con i piedi inchiodati ai bisogni del presente, senza avvenire, disorientati e in preda allo scontento.
Li ho visti più volte inquieti e inquietanti, turbolenti nelle strade e nei parchi, violenti con i più deboli o i diversi, in qualche modo intossicati dal bisogno continuo di ricompense immediate: incapaci dell’autocontrollo, ma anche inabili nella gestione delle pulsioni perché privi di educazione alle emozioni. E così un cumulo di dolore sposta la rabbia sul loro stesso corpo e li spinge a tagliarsi di nascosto per tentare di contenere un’incomprensibile sofferenza.
E' urgente mettere a punto un rinnovato progetto educativo e un patto impegnativo tra famiglia e scuola: a casa penso si debbano mobilitare le energie dell’attenzione e dell’osservazione, che sono presenza e controllo necessari alla crescita, se forniscono limiti e confini; a scuola credo ci sia bisogno di sviluppare una cultura della solidarietà e promuovere il senso di responsabilità educando al rispetto e alla cooperazione.
Credo si debba promuovere a casa come a scuola, lo sviluppo di progetti curricolari per la crescita di una coscienza collettiva centrata sull’empatia e sulla condivisione. Pubblicato nel blog dell'autore e in L'Adigetto del 5 febbraio 2023.