di Alberto Rossetti. Psicologo e psicoterapeuta specializzato in infanzia e adolescenza. Pubblicato in Edizioni Gruppo Abele del 6 febbraio 2023.
Recentemente la giornalista Selvaggia Lucarelli, sui suoi canali, ha denunciato la pratica sempre più comune da parte di molti genitori di postare i propri figli minorenni sui social. Pratica che è diventata di fatto un lavoro per molte personalità del mondo digital, che fra social network e blog condividono la loro genitorialità. E, ovviamente, anche la loro prole.
- Sharenting: condividere la genitorialità Tecnicamente viene definito sharenting, dall’inglese to share, condividere, e parenting, l’essere genitore. Detto in maniera più semplice significa condividere le immagini, i video e le storie dei figli sui social media, da Facebook a Instagram, passando per TikTok. Una pratica che apre a numerose perplessità relative alla sicurezza dei minori, al non rispetto della loro privacy e al bisogno del genitore di portare i figli in un ambiente, quello social, in cui i bambini non dovrebbero entrare. Un ambiente scarsamente controllabile, di libero accesso, e dove le immagini e le vite dei minori possono essere date in pasto – letteralmente – a chiunque.
- Non tutte le condivisioni sono uguali Nello stesso tempo, però, non tutte le condivisioni sono uguali e, come racconto nel libro La vita dei bambini negli ambienti digitali, non sempre è facile tracciare una linea netta di demarcazione tra ciò che è giusto fare e ciò che non lo è.
- Genitorialità alla prova dei like Tra una storia e l’altra, poi, ecco comparire quasi sempre le sponsorizzazioni di prodotti vari, tra cui ultimamente sono esplose quelle dei servizi di psicologia online, con relative offerte se si inseriscono i codici promozionali dati in dono ai propri seguaci. Il punto non è cosa è giusto sponsorizzare e cosa non lo è, oppure se si portano avanti delle battaglie sociali importanti oppure no, sebbene certamente faccia la differenza.
- E poi ci sono i bambini E poi, ovviamente, ci sono i bambini. Che entrano continuamente nelle storie, nei post, nei reel e nei video di TikTok. Continuamente. Li vediamo a tavola, in bagno, mentre fanno sport e quando incontrano i nonni. Al mattino al risveglio, o la sera quando giocano nella loro nuova cameretta.
Sembra che per questi genitori influencer, così attenti a raccontare la normalità delle loro famiglie, la privacy dei loro figli non abbia alcun peso. Oppure che sia giusto sacrificarla, in nome di un qualche interesse maggiore non meglio specificato.
Di certo, non dobbiamo abituarci a tutto questo. Perché la normalità non può essere portare i propri figli in rete in cambio di una manciata di follower, commenti e condivisioni. La genitorialità può, e deve, essere qualcos’altro.
segnalato da Monica Lazzaretto
sintesi di Alessandro Bruni
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