di Nicola Manferrari. Vignaiolo del Collio.
In Italia la produttività negli ultimi vent'anni non cresce. Volendo guardare ai dati storici della mia azienda potrei sostenere che non solo non cresce ma cala. Nel 2000 la nostra produzione in quantità era suppergiù la stessa di oggi tuttavia la si otteneva con quasi la metà degli addetti. Pure i vigneti erano quasi gli stessi, anzi, oggi la superficie si è leggermente contratta. Quanto a strutture invece no, sono stati sostenuti grandi investimenti con l'obiettivo di agevolare il lavoro, in cantina come in campagna. Il valore del fatturato è più che raddoppiato per cui si potrebbe concludere che non è andata poi così male. Tuttavia guardando oltre i bilanci, ci si accorge che l'incremento di valore delle vendite segue il grande incremento di prezzo unitario delle bottiglie, fattore che poca relazione ha con la produttività degli addetti. Infatti ciò segue la valorizzazione del marchio a livello globale e si deve alla credibilità dei prodotti di oggi ma più ancora di quelli del passato, generata dal lavoro di valorizzazione del brand svolto in 40 anni da me e ora pure da mio figlio. Paradossalmente ciò che oggi ci spinge in alto sono gli assaggi di bottiglie di 30 se non di 40 anni addirittura. Per concludere, si potrebbe sostenere che la produttività, una volta corretta dall'anomalia che la vizia, è quasi dimezzata.
Lo strumento per migliorare la produttività è la contrattazione collettiva (immagino prevedendo premi di produttività). Per quanto mi riguarda, almeno sulla mia scala e nel mio settore ciò serve poco. Non è promettendo più soldi che si migliora la produttività, l'abbiamo tentato con risultati deludenti.
Per proporre un rimedio a un problema è meglio conoscerne le cause. Restando all'essenziale, e limitatamente alla mia azienda, mi sento di elencarne tre:
• costante e progressiva perdita di qualità degli addetti, qualità intesa da un punto di vista umano, culturale e professionale;
• progressivo incremento degli adempimenti burocratici;
• costante peggioramento dell'impatto del sistema Italia sull'azienda (le relazioni esterne).
Ora mi pare doverosa una precisazione metodologica. Siccome probabilmente dirò di cose che potrebbero stridere con le "verità acquisite" di molti, in qualità di vignaiolo posso solo portare testimonianze sincere di ciò che m'appare nell'esercizio della professione. Esperienze puntuali che non è lecito generalizzare ma è doveroso tenerne conto qualora certe narrazioni correnti non risultassero capaci di spiegarle. Nel non conoscere spiegazioni buone di ciò che vedo posso formulare ipotesi. Queste non sono verità, vere sono le sole osservazioni. Eventualmente la verità è il vuoto di spiegazioni buone, e a elaborare queste dovrebbero concorrere gli specialisti delle rispettive materie, non, da bravi negazionisti rimuovendo elementi fattuali, ma elaborando teorie attendibili atte a spiegare i fatti osservati, tutti, compresi quelli da me riferiti.
Procedo analizzando gli attori e il contesto in un ambito lavorativo, sì particolare, ma del tutto coerente nel sistema produttivo italiano.
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Ndr. Il passaggio dalla formazione scolastica alla formazione nelle attività produttive è sempre stato un momento critico di ogni giovane in avviamento lavorativo. Un passaggio che da sempre ha sollevato disagio per mancanza di collegamento tra il conoscere teorico e il sapere pratico. Sullo spunto di un nostro post di Luigi Viviani, Nicola Manferrari, un nostro attento lettore, ha tracciato fasi esperienziali significative che ci sono sembrate illuminanti per insegnanti, imprenditori e giovani.