di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
L’attuale governo di destra-centro, pur disponendo di una consistente maggioranza, vive sulla base di rapporti interni improntati a scarsa fiducia reciproca, com’è dimostrato dal fatto che quasi tutte le leggi proposte vengono approvate con il voto di fiducia. Ma per ragioni propagandistiche, al fine di offrire un’immagine di forte compattezza, il dibattito politico nel governo è pressochè assente, tanto che normalmente si cerca di far passare sotto silenzio episodi interni di particolare gravità, anche con riflessi di rilevanza penale. Tuttavia il conflitto e la polemica reciproca trovano spazio soprattutto nella politica estera, tradizionalmente ambito di posizioni unitarie perché si tratta di rappresentare il Paese.
Fin dai primi passi dell’esecutivo, Giorgia Meloni ha scelto la politica estera come elemento prioritario della sua azione di governo, perché, in quella sede, i problemi del Paese risultano meno evidenti, e la premier può sviluppare, senza mediazioni, la sua linea filoatlantica. Senonché, anche nella politica estera i problemi non mancano, in parte per la stessa premier e per le posizioni dei suoi alleati di governo.
Circa il primo aspetto basta ricordare le visite in Medioriente e in particolare in Algeria e Libia, dove la premier ha potuto lanciare il Piano Mattei per l’acquisto di petrolio e gas alternativi alla Russia, raccogliendo un coro di consensi, al di là dei problemi sottostanti.
Sul secondo aspetto valga per tutti il rapporto dell’Italia con la guerra in Ucraina dove la scelta netta di Meloni e FdI a favore e a sostegno dell’Ucraina è sistematicamente frenata e talvolta contraddetta da Lega e FI, in particolare sull’invio di armi a Kiev, per le loro più che simpatie nei confronti della Russia di Putin.
Nonostante l’evidente divisione del governo, dopo la grave presa di posizione di Berlusconi nei confronti di Zelensky e le ripetute riserve di Salvini sull’invio di armi, tutto il centrodestra ha cercato goffamente di distinguere le prese di posizione dal voto, sempre a favore dell’Ucraina, considerando in tal modo prive di significato e del tutto ininfluenti le parole di Berlusconi, in ogni caso acriticamente difese di ministri di FI. I successivi, duri giudizi di Zelensky durante la visita della premier a Kirv, e di gran parte della comunità internazionale, hanno isolato la Meloni e reso evidente che l’Italia rappresenta un interlocutore fragile e scarsamente credibile, tanto che, non a caso, il nostro Paese è stato l’unico citato, in termini polemici, nell’intervento di Putin in occasione della celebrazione del primo anno di guerra, e poco dopo l’Italia è stata oggetto di un nuovo attacco degli hacker filorussi.
Questa sua identità incerta e divisa emerge anche nel rapporto con l’Europa, dove l’Italia sta progressivamente scivolando verso posizioni sempre più euroscettiche. Dopo la reazione sproporzionata di Meloni al mancato invito a cena con Zelensky da parte di Macron, al punto da mettere in discussione il precedente patto del Quirinale, difeso dallo stesso Presidente Mattarella, il rapporto Italia-Ue sta diventando sempre più problematico. Al difficile confronto sulla gestione del Pnrr e relative riforme, si sono aggiunti, negli ultimi giorni, dissensi e contrapposizioni su varie questioni che vanno dal decreto Piantedosi sui migranti alle previsioni sull’auto elettrica, dai vincoli futuri alle case green al rinvio della riforma sui balneari, dagli aiuti di Stato alle imprese alla riforma del Patto di stabilità.
Questo confronto con L’Ue, specie nelle fasi di forte trasformazione come l’attuale, può vivere e svilupparsi anche attraverso conflitti, a patto che questi si svolgano in un contesto strategico trasparente e condiviso. Quando invece si punta esplicitamente a modificare in profondità tale quadro, come sta tentando Meloni attraverso un rapporto ravvicinato con parte del Ppe e con i Paesi di Visegrad (Polonia e Ungheria) con l’intento di puntare, con le elezioni europee del 2024, a dar vita a una nuova Europa di centrodestra, alternativa a quella attuale, incentrata sull’asse franco-tedesco, si compie una scelta illusoria che porta inevitabilmente all’isolamento e alla marginalizzazione dell’Italia. Su questo punto bisogna essere molto chiari perché un futuro positivo per Italia, nell’unica Europa storicamente possibile, può realizzarsi, come ha dimostrato Draghi, soltanto inserendosi come partner autorevole del gruppo trainante il futuro dell’Ue, assieme a Germania e Francia.
La politica estera, sperimentata in questa prima fase di vita del governo, ha dimostrato che essa rimane troppo importante e spesso decisiva per la stessa vita del governo. Perciò non può essere usata come via secondaria per raggiungere più facilmente il consenso e allentare le divisioni all’interno della maggioranza. La politica estera raggiunge il suo scopo quando riesce a trasmettere l’idea e la realtà di un Paese stabile e unito che compie scelte credibili e coerenti.
Il governo Meloni non sta dimostrando tale unità, per sue inadeguatezze strutturali derivanti non solo per i freni e le contraddizioni degli alleati rispetto alla linea della premier, ma anche perché quest’ultima manifesta un eccesso di presenza e di propaganda sulla linea atlantica, che coincide con la sua identità politica, e un ruolo più defilato, quando non del tutto silenzioso, sulle questioni europee e altre quando risultano contrarie agli interessi del suo partito. Una politica che, nel complesso, fa male all’Italia e al suo futuro.