di Stefano Allievi. Sociologo del mutamento culturale. Pubblicato nel blog dell'autore il 21 gennaio 2023.
Le dimissioni anticipate, per sua volontà e scelta, della premier neozelandese Jacinda Ardern, sono un potente messaggio anche per noi, che viviamo dall’altra parte dell’emisfero. Ci dicono due cose importanti, e (ri-)aprono una questione che ci accompagnerà a lungo.
La prima considerazione, il primo messaggio, riguarda naturalmente la politica: le condizioni in cui si svolge, il coinvolgimento che richiede. Fare il politico (non c’è bisogno di essere primo ministro, lo sa anche un sindaco) è un mestiere totalizzante. Da qui il grande insegnamento delle cariche a termine, la saggezza del limite nel numero di mandati. Eppure il fatto che gesti come quelli di chi lascia in anticipo perché sente di non farcela più (da Jacinda Ardern a Benedetto XVI) ci facciano simpatia, dovrebbe farci capire la stortura e anche l’innaturalità diremmo patologica del comportamento opposto.
La seconda considerazione riguarda tutti noi: specialmente le culture e i luoghi in cui il lavoro è considerato alla stregua di una religione (come da noi). Noi crediamo di esserci liberati progressivamente dal lavoro, immaginiamo che le nostre società siano più avanzate e progredite perché ci consentono di guadagnare di più, e con questo di concederci lussi impossibili altrimenti.
Sono più spesso le donne che si pongono (anche perché costrette a farlo dai ruoli così come concepiti nella nostra cultura attuale) il problema della conciliazione tra famiglia e professione, tra soddisfazione lavorativa e coltivazione di relazioni significative, tra ben-essere e guadagnare. Il problema è che non faremo sufficienti passi avanti se non diventerà una condizione comune, una aspettativa condivisa, trasversale ai generi.
sintesi di Alessandro Bruni
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