di Alessandro Rosina. Sintesi di Alessandro Bruni.
La crisi demografica in Europa
Nessun paese in Europa presenta un tasso di fecondità sufficiente a garantire un equilibrio nel rapporto tra generazioni. E’ evidente una chiara difficoltà dei paesi europei a mantenere livelli di fecondità vicini alla soglia di rimpiazzo generazionale. Risulta, tuttavia, riconoscibile un gruppo di paesi che meglio si avvicinano a tale obiettivo. Francia e Svezia sono i due casi più interessanti. Pur nella diversità dei due modelli di welfare, alla base c’è una continua attenzione alla conciliazione tra impegno lavorativo e responsabilità familiari.
Un secondo gruppo è costituito dai paesi scesi molto sotto il livello di equilibrio generazionale ma poi risaliti. Vi rientra la Germania e larga parte dell’Est Europa. L’esperienza di questi paesi mostra che le misure nell’immediato più efficaci sono quelle che danno un segnale concreto e diretto di forte sostegno economico alle famiglie.
Gli effetti migliori sulle nascite sono, pertanto, quelli che si ottengono combinando le politiche familiari con capacità di attrarre e gestire flussi migratori di persone in età lavorativa e riproduttiva.
Nel decennio scorso la Germania è il paese che maggiormente ha agito su tali due leve e come conseguenza le nascite sono sensibilmente aumentate, mentre nei paesi dell’Est Europa sono state stabili o con variazioni limitate.
C’è, infine, un terzo gruppo, rappresentato dai paesi in cui la fecondità rimane persistentemente bassa. Vi rientrano i paesi dell’Europa mediterranea. Occupa qui un posto particolare l’Italia e ancor più le regioni meridionali. Come evidenzia anche il recente rapporto Istat, ritardi e squilibri stanno determinando una spirale di degiovanimento quantitativo e qualitativo tra le peggiori in Europa, che a sua volta vincola al ribasso le possibilità di sviluppo e benessere di tale area. Pubblicato nel blog dell'autore e in Il Sole 24 ore del 30 gennaio 2023.
Governare le migrazioni
di Stefano Allievi. Sintesi di Alessandro Bruni
Illudersi di fermare le migrazioni irregolari bloccando l’attracco delle navi delle Organizzazioni non governative o rendendo più difficile la loro attività, del resto, è come cercare di fermare l’acqua corrente riportandola dentro il rubinetto usando un colino: il flusso non si ferma comunque, è impossibile influire con questo comportamento. In più, incidentalmente, gli arrivi attraverso le navi delle ONG sono a loro volta una minoranza degli arrivi totali via mare, che a loro volta non tengono conto di quelli via terra.
L’errore sta nel focalizzarsi sugli arrivi, quando quello che conta veramente sono le partenze. Perché il problema è lì. Rendere le migrazioni possibili legalmente, con canali dedicati, concordati con i paesi di partenza, meccanismi di selezione sulla base delle capacità professionali, del titolo di studio e della conoscenza della lingua, e precisi accordi di rimpatrio degli irregolari, consentirebbe di offrire una via alternativa ai migranti, più sicura e garantita.
Riaprire canali controllati di ingresso è necessario tanto per loro (ci sarebbero meno morti e più speranze) quanto per noi, che almeno sapremmo chi viene e dove va, invece di perdere il controllo di un’immigrazione irregolare tra i cui effetti c’è l’aumento del numero di minori non accompagnati, l’abbassarsi del livello di istruzione dei migranti, il crescere dell’insicurezza tra i cittadini, ma anche il moltiplicarsi dei guadagni di pericolose mafie transnazionali che poi reinvestono nelle economie legali dei loro e dei nostri paesi, inquinandole.
Nessuna soluzione sarebbe definitiva. Non si può abolire l’immigrazione irregolare per legge: una quota c’è sempre stata e sempre ci sarà. Ma almeno avremmo fatto il possibile per diminuirne l’entità, e anche per rendere più umano un meccanismo che oggi non lo è. Pubblicato nel blog dell'autore e in Corriere della sera del 7 febbraio 2023.