di Fulvio Fulvi. Pubblicato in Avvenire del 14 febbraio 2023.
Abbandonati di fronte alla sofferenza. Disperati nella loro solitudine casalinga protratta nel tempo. Ora per ora, tutti i giorni, senza uno spiraglio di luce, i “caregiver” sono al capezzale del loro caro che non può muoversi più e deve essere aiutato a camminare, a mangiare, a bere, a vestirsi. Invisibili, eppure cui sono. Come se accudire la madre, il fratello, un figlio disabili fosse un impegno fisico ed emotivo che non riguarda anche gli altri, la società in cui si vive, le istituzioni che dovrebbero governare l’assistenza e la sanità. Tanto c'è chi lo fa. È un alibi per tutti.
Ci si chiede: Come vivevano prima di compiere quel gesto estremo contro i loro cari, anziani e malati, e poi scagliarsi contro se stessi per farla finita? Ma dove stavano prima le istituzioni? E i vicini di casa?
«Quello che è successo è un pugno nello stomaco per l’opinione pubblica, ma non è certo il primo e forse non sarà l’ultimo caso» commenta Alessandro Chiarini, presidente di Confad (Coordinamento Nazionale Famiglie Disabili). «Il fatto è che la nostra non è una società inclusiva: i servizi sanitari sul territorio sono carenti, c’è indifferenza verso i disabili e i politici non hanno la minima idea di che significa per una famiglia assistere in casa un disabile – aggiunge – e questo è un terreno dove germogliano fatti così sconvolgenti». In Italia sono quasi mezzo milione i disabili assistiti in casa da un “caregiver” che è quasi sempre un familiare convivente.
segnalato da Samuele Pedrazzini
sintesi di Alessandro Bruni
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