Raymond Redvers Briggs è morto a Brighton nell'agosto del 2022. Dopo aver esercitato la pittura per breve tempo, divenne un illustratore professionista e presto iniziò a lavorare a libri per l'infanzia. I suoi primi tre lavori importanti erano in formato di fumetto più che in testo accompagnato da immagini come avviene tipicamente nei libri per bambini. Nel 1978 pubblica Il pupazzo di neve (The Snowman, Hamilton, 1978), interamente senza parole, realizzato esclusivamente con matite colorate. Nello stesso anno ne uscì un'edizione americana per la Random House. Nel 1982, fu adattato dalla rete televisiva britannica Channel 4 in un cartone animato, che fu nominato agli Oscar ed è stato trasmesso dalla televisione britannica. Briggs continuò a lavorare con forme simili, ma un contenuto più adulto, in Gentleman Jim (1980), un severo sguardo sui problemi dei proletari Jim e Hilda Bloggs, personaggi basati sui suoi genitori. When the Wind Blows (1982) confrontava la fiduciosa e ottimista coppia dei Bloggs con gli orrori della guerra atomica. Poi con The Tin-Pot Foreign General and the Old Iron Woman (1984) fece una feroce denuncia della Guerra delle Falkland. Briggs continuò a creare storie umoristiche per bambini, in lavori come la serie Unlucky Wally e The Bear. Briggs ha vinto numerosi premi letterari. sintesi di Alessandro Bruni da Wikipedia
Quando le tue mani non ti piacciono più è ora di pensare a cosa c’è scritto sopra
di Mara Famularo. Pubblicato in La Stampa del 19 Marzo 2022.
È ora di spegnere le luci, è un memoir realizzato da Briggs nel 2019 e pubblicato in italiano da Rizzoli Lizard. Quando comincia a scrivere il memoir, Briggs, classe 1934, ha più di settant’anni e non può fare a meno di riflettere con lucidità sull’età raggiunta e su ciò che lo aspetta. E poiché la vecchiaia è una cosa tanto tragica quanto ridicola, alla sua voce si affianca quella di Prodnose, un alter ego dal naso affilato e dal sarcasmo maleducato, che interviene sistematicamente a spazzar via ogni pretesa di autorevolezza e a stroncare sul nascere qualsiasi cenno di patetismo.
Anche se il libro procede per frammenti, emerge chiaro il filo delle riflessioni di Briggs, articolate in tre parti. Nella prima, Ora, l’autore racconta il presente, ossia la sua quotidianità di uomo anziano, un po’ malandato ma tutto sommato in salute, che non si riconosce nell’immagine rugosa e canuta che lo specchio gli restituisce. Briggs sente che è opportuno e saggio abituarsi all’idea di morire, eppure non può ancora dirsi indifferente alle sensazioni provate facendo una bella passeggiata con il cane o guardando una bella ragazza. E di conseguenza non può che esultare constatando di essere sopravvissuto a tutte le persone citate sul necrologio del giorno.
La seconda sezione, Una volta, è dedicata al passato. Briggs ricorda l’infanzia e le affettuose zie che lo hanno accudito mentre era in campagna per sfuggire ai bombardamenti. Rilegge l’ultima lettera della moglie morta a poco più di quarant’anni, l’amore della sua vita di cui ora fatica a ricordare il compleanno. Le persone scompaiono mentre gli oggetti di poco conto restano, come il tagliere e il coltello appartenuti ai suoi genitori, o la piscinetta gonfiabile a forma di barca che faceva impazzire i nipotini quando da bambini andavano a trovarlo.
Nella terza e ultima parte, Il prima o poi, c’è la premonizione di quello che sarà. Com’è accaduto ad altri, verrà il momento di lasciare i libri raccolti in una vita intera, salutare i vicini e trasferirsi nella stanzetta di una casa di riposo. Qui si dovrà forse combattere con la malattia e la demenza, in attesa del momento in cui spostare finalmente l’interruttore su off.
Tra risate e lacrime amare, il memoir riluttante di Briggs ci ricorda una verità universale: pensare alla morte è straziante, ma è essenziale per restituire valore alla vita.
segnalato da Samuele Pedrazzini
sintesi di Alessandro Bruni
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Una passeggiata nel Sussex
di Arabella Strange. Pubblicato in Obloaps del 25 novembre 2022.
È ora di spegnere le luci. Un memoir riluttante di Briggs me lo son trovato in mano. Ci sono caduta dentro. L’ho letto lentamente per farlo durare di più. Alla fine, il libro era finito, e Briggs era morto davvero, e ho sentito che davvero avevo perso qualcuno. Perché questo è un libro in cui l’autore si lascia conoscere. Divide con te i suoi pensieri, si disfa di un pudore che l’ha accompagnato fin lì, nelle sue narrazioni, e resta armato solo del suo senso dell’umorismo di fronte alla decadenza, alla fatica, alla brevità della vecchiaia.
Si domanda quanto gli resti da vivere. «Le persone ansiose e pessimiste sono esposte a un maggiore rischio di demenza senile» sente dire Briggs, e io immagino che abbia aggiunto dentro di sé «Oh, beh, vedremo», dopotutto comincia a scrivere questo gigantesco oggetto letterario quando ha settant’anni e qualcosa, è presto per la demenza…
Non è presto, però, per fare dei bilanci, e quello più doloroso riguarda Jean, sua moglie, morta trent’anni prima, una donna bellissima di cui ci mostra le fotografie, domandandosi cosa lei abbia mai visto in lui. Sono fotografie bellissime, e mi sono domandata come sia possibile che l’opera di Briggs sia stata abitata, permanentemente, dai sui genitori, e non da questa donna, il cui corpo vivo e magnifico esplode nella pagina. Jean, ci racconta, era schizofrenica, ed è morta improvvisamente, giovane, di leucemia.
Forse nel momento in cui rifletteva così tanto sulla propria morte Briggs non ha più voluto districarla da quella di lei. La presenza di Jean è fortissima in tutto il libro, quando parla di lei, avverto nelle sue parole una specie di sollievo. Briggs si accorge di essere vecchio e, in un universo che un diverso rapporto col tempo ha ridisegnato, colloca Jean nell’Oltre. Jean è già nell’ignoto, nell’indicibile. Se c’è lei ci può andare anche lui. Non leggo niente di metafisico in questo, solo una questione di territori. Se c’è lei, non è un territorio inesplorato, ma solo un territorio in cui lui non è ancora stato.
Ma non è la morte la protagonista del libro. È la fottuta vecchiaia! La memoria che se ne va, le relazioni sociali che diminuiscono, il corpo che ti tradisce. Ci sono i bambini, i figli e nipoti della compagna, Liz, che portano un po’ della loro vita nella casetta di Westmeston. Perché essere vecchi regala la gioia di dire di NO a tutto. Vestirsi, guidare, stare in fila, rumore… No è la parola d’ordine. Frapposte alle pagine in cui Briggs si rammarica, ci sono anche quelle in cui stabilisce i confini di quello che il mondo può ancora chiedergli: pochissimo. Le “Regole della vecchiaia” incise su una tomba nel cimitero di Westeston si aprono così: «Ricorda che non sei tenuto a fare cose che non ti va di fare. Solo la legge può costringerti a fare qualcosa».
Accompagnare Briggs in questa avventura è stato bellissimo e straziante. Sono mesi in cui ho dovuto pensare moltissimo alla morte. Un po’ anche alla mia, che sono più giovane di Briggs, ma non lontanissima dall’età in cui lui ha cominciato a pensare che la vecchiaia lo riguardasse.
Pensandoci bene, non è vero. Sono abbastanza lontana. Com’è che allora mi sento come se mi riguardasse? Succede con i libri potenti. Non mi stancherò mai di vederlo succedere. Raymond Briggs è riuscito a prendermi sottobraccio e siamo scesi insieme nella Valle della Morte, che io immagino ora un po’ come una valletta del Sussex, erba, pioggia, cani.
Noi camminiamo, attenti a dove mettiamo i piedi.
segnalato da Samuele Pedrazzini
sintesi di Alessandro Bruni
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