di Alessandro Bruni
Sul piano personale nel redigere la raccolta di documentazione sulla maternità surrogata mi sono concettualmente riconosciuto in quanto ha espresso Paola Grimaldi nell'articolo “La maternità surrogata tra bioetica e biodiritto”, pubblicato in Paradoxa di marzo 2017. Trovo che da allora la situazione non sia cambiata e a seguire ne riporto alcuni stralci per me chiarificatori.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica «emette una condanna inappellabile» sulla maternità surrogata partendo dal presupposto fondamentale che al minore vadano assicurate certezza e stabilità a tutela del suo «prevalente interesse» che va sempre garantito insieme alla dignità e soggettività delle donne coinvolte che non devono essere considerate «corpi muti, oggetto di prescrizioni, a partorire o non partorire, secondo volontà altre da loro».
La situazione nazionale descritta non è poi tanto diversa da quanto si verifica a livello internazionale dove viene fermamente condannata, a più riprese, la maternità surrogata in quanto si afferma che «la surrogazione è incompatibile con la dignità delle donne e dei fanciulli e costituisce violazione dei loro diritti fondamentali».
Con l'aumentare delle possibilità riproduttive, ci troviamo oggi di fronte ad un assortimento di situazioni genitoriali prima impensabili: si va dalla donna, sposata o non sposata, fecondata con seme di un donatore, con o senza il consenso del partner; al figlio che non è il prodotto biologico dei genitori sociali, ma di uno soltanto, ovvero di nessuno dei due, essendo stato concepito grazie alla donazione tanto di ovocita che di seme e magari all’impianto nell’utero di una madre surrogata.
Di conseguenza, per quanto sia assolutamente condannabile il fenomeno in termini etici, ci si augura che il legislatore intervenga quanto prima nella materia per costruire un sistema chiaro di regole in grado di salvaguardare in concreto il best interest of the child di cui, ad oggi, non si è ancora ben capita la portata ed il significato, evitando così di lasciare agli interpreti il compito di trovare, di volta in volta, una soluzione adeguata a questioni che invece necessitano di una omogeneità legislativa in grado di attribuire uno status certo a chi è nato, seppure attraverso accordi illeciti.
La maternità surrogata costituisce, infatti, un ‘non luogo normativo’ che purtroppo tale sembra destinato a restare ancora a lungo tenuto conto anche dell’assenza di contatto tra i vari Paesi europei in cui oramai il fenomeno è dilagante seppure spesso sommerso. Tale assenza normativa è di ostacolo anche alla soluzione delle problematiche scaturenti dagli accordi di surrogazione o delle problematiche che possono insorgere a seguito del parto quali, ad esempio, la mancata consegna del bambino, il rifiuto opposto dai genitori committenti a ritirare il neonato in presenza di patologie o malformazioni che affliggono lo stesso, l’eventuale decesso della madre committente, il mancato riconoscimento della documentazione estera attestante il rapporto di filiazione e la conseguente pronuncia di stato di abbandono e dichiarazione di adottabilità concernente il minore, e così via. Si può chiaramente parlare di incapacità e forse anche di resistenze dimostrate dalle istituzioni nel disciplinare la materia in esame che si preferisce affidare di volta in volta alla giurisprudenza per la risoluzione di vicende che faticano a trovare una disciplina uniforme ed organica.
Riaffiora, allora, il grande interrogativo della bioetica sempre tempestivo quando il progresso scientifico supera i limiti di ciò che è considerato naturale: «tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente accettabile, socialmente ammissibile e giuridicamente lecito?».
Nel fenomeno della gravidanza si verifica un intensissimo scambio tra la madre ed il bambino […] se, come avviene per contratto nella maternità surrogata, il figlio viene ceduto dopo il parto, si infligge al bambino una grave ferita nella sua vita relazionale»; ed ancora D. Callahan in Etica e medicina riproduttiva in Questioni di bioetica che si/ci chiede: «può essere accettabile una ricompensa nel caso della maternità surrogata? […] È lecito che le donne siano disposte a prestare l’uso del proprio utero come madri surrogate?».
D’altro canto, l’enorme potenziale scientifico si collega alla odierna forte tendenza, soprattutto delle società occidentali, di ricerca della prole, della procreazione anche a costo di superare i limiti biologici – ad esempio la infertilità – e realizzare così il proprio desiderio prioritario di avere con i figli quanto meno un legame genetico. Ciò spiega come mai si tenda a servirsi comunque più dei ritrovati scientifici e tecnologici offerti oggi dalla biomedicina che dei tradizionali canali adottivi.
Questo blog ha già pubblicato alcuni post sull'argomento ai quali si fa riferimento per completezza di informazione:
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Per una approfondita disamina degli aspetti bioetici si veda anche Maurizio Balistreri “ Considerazioni bioetiche sulla Riproduzione assistita e sulla Maternità surrogata. Una critica della prospettiva conservatrice”. Pubblicato in Etica & Politica / Ethics & Politics, XXIV, 2022, 1, pp. 265-286 ISSN: 1825-5167 . Pubblicazione liberamente scaricabile in pdf