di Giuseppe Maiolo. Psicoanalista del costume. Pubblicato nel blog dell'autore e in L'Adigetto del 5 marzo 2023.
Tra le parole che ci servono per promuovere le relazioni, è centrale la «solidarietà» che è vocabolo adiacente alla condivisione.
Con la Rivoluzione francese e il pensiero positivista, il termine associabile a «fraternité» ha trovato una maggiore dimensione sociale e psicologica in quanto sentimento di appartenenza e interdipendenza degli individui.
Sottolineava il mutuo aiuto, l’appoggio e la cooperazione come sentimenti che dovevano appartenere a chi faceva parte delle piccole comunità umane. In fondo l’uomo come animale sociale ha da sempre bisogno della vicinanza solidale dei pari.
Di derivazione latina, la parola solidarietà non è solo qualcosa di verbale, anzi, è azione concreta e di varia natura.
Proviene dal sostantivo «solidum» da cui «soldo», o moneta, utile per soccorrere chi è in difficoltà, ma anche dall’aggettivo «solidus» che definisce la figura geometrica del «solido» come oggetto dotato di solidità perché le varie parti, collegate le une alle altre, si sostengono a vicenda e ne fanno un corpo unico e resistente.
Per quanto attiene allo specifico della psicologia, la solidarietà è azione altruistica tenace, è sostegno e cura dell’altro, energia che arricchisce reciprocamente gli individui, infrange le barriere del pregiudizio e rompe le reti che imprigionano.
Con essa si può coniugare l’individualità dell’IO col sentimento di appartenenza a un NOI sociale e plurale.
Figlia dell’empatia e di quei «neuroni specchio» che le neuroscienze hanno scoperto come cellule nervose che ci fanno riconoscere ciò che l’altro sente e attivano in noi risposte di partecipazione e aiuto, la solidarietà, in parte innata, va educata e insegnata, cioè si accresce se si lasciano «segni» e «orme» che altri possono seguire.
Significa che oggi non basta esprimere a parole la solidarietà.
Nell’agglomerato umano dominato da individualismo e competizione, la compassione e l’ascolto altrui si sono assolutamente ridotti e forse si è atrofizzato quell’impulso solidale che i bambini hanno da piccoli tra di loro.
Apatia e inerzia sociale stanno attraversando le relazioni e ci fanno essere un po’ tutti una massa di rumorosi spettatori sordastri o sordi, incapaci di reale coinvolgimento nelle sofferenze degli altri e in difficoltà nel comprendere eventi e atrocità collettive.
La solidarietà non è una semplice raccolta di denaro o di sostegno materiale, che pur conta, ma è accoglienza umana, partecipazione, condivisione, azione di soccorso tempestivo e non ritardato o parziale.
Altruismo, non buonismo, nel senso di «antidoto contro il veleno dell’odio e della distruttività umana» (A. Zamperini, Psicologia dell'inerzia e della solidarietà, Einaudi).
Vi è urgenza di recuperare solidarietà come alleanza tra gli individui per sviluppare legami, energia comune e resilienza.
Chiamiamola pure «sorellanza» parola peraltro ormai presente nel linguaggio di oggi che rimanda alla complicità tra donne che hanno obiettivi comuni, ma prima di tutto pensiamo alla solidarietà come risorsa empatica da coltivare ovunque, in casa come a scuola e sul lavoro, con la quale costruire ponti che congiungono rive opposte e avvicinano regioni distanti.