di Marina Viola. Scrive e vive a Boston con amore, con dolore, con levità. Pubblicato nel blog dell'autrice l'8 marzo 2023.
Non mi capita spesso. Di ascoltare Jannacci, dico. I suoi testi sono nelle mie orecchie da prima che nascessi, la musica anche. È un po’ come riguardare per la millesima volta Marrakesh Express: anticipo le battute, nella vana speranza di trovarne una non ancora sentita. Ma le ho esaurite davvero tutte, tanto che sono ormai diventate parte del mio linguaggio.
Ecco, ascoltare Jannacci è un po’ simile. Quelle dal vivo sono diverse da quelle incise in studio, ma anche i suoi cento errori sui testi che faceva sul palco sono ormai famigliari. Eppure, a differenza del film, ci sono alcune canzoni che ho ascoltato solo un paio di volte e che ogni volta mi sembrano nuove.
Prendi Lettera da Lontano, per esempio. Erano passati anni dall’ultima volta che l’avevo ascoltata. Durante un periodo molto diverso della mia vita. Le canzoni, ne sono sicura, cambiano di significato a seconda di quando le ascolti. La settimana scorsa, mentre io e mia sorella Anna andavamo a Bordighera, me l’ha fatta riascoltare. Anna, dopo Paolo Jannacci, è la persona più preparata al mondo in questo campo.
Lettera da Lontano, dicevo. È forse meno conosciuta di Silvano o di Ci Vuole Orecchio, ma non per questo meno profonda. Mi si è attaccata al cuore come gli artigli di un gatto e non mi vuole lasciare più.
È successo che qualche giorno prima, avevo ricevuto una lettera da una vecchia amica. Scritta a mano, come le lettere vere, scritta su un foglio di carta da lettere, come si usava quando ero più giovane. La vecchia amica è una persona a cui sono stata molto vicina tanti anni fa e di cui, per circostanze anche complesse, non avevo avuto più avuto notizie. È una lettera abbastanza corta, ma piena di informazioni, quasi tutte brutte, tranne lo spirito con cui sono state scritte, profondo eppure ottimista. Quel che si chiama una bella lettera, che ho letto e riletto cento volte, non soltanto per il contenuto, ma per ciò che una lettera scritta a mano significa. Un’amica che trent’anni dopo, pensa a me. Apre il cassetto con il taccuino della carta da lettere, si siede a un tavolo, cerca il mio indirizzo. Sceglie la penna con cui le piace scrivere, mette la data in alto a destra e comincia con Cara Marina. Un gesto antico, struggente per chi la scrive e per chi la riceve. In questo anno balordo, è stata una delle più belle emozioni.
Ma non solo. Quando Enzo stava molto male, gli scrissi una lunga lettera. Gli raccontavo di quanto il suo affetto fraterno per mio padre fosse trapassato a noi; gli raccontai di me e della mia famiglia; lo invitai ad essere forte anche in circostanze in cui la forza sembra essere un traguardo irraggiungibile. Mi chiamò qualche tempo dopo per ringraziarmi per quello che gli avevo scritto. Dopo la sua morte, incontrai l’infermiera che lo aveva curato negli ultimi mesi. “Scusi, lei è Marina Viola?”, mi chiese timidamente. “Sono contenta di incontrarla, perché volevo dirle che Enzo ha sempre tenuto la sua lettera sul comodino e spesso mi chiedeva di rileggerla. Volevo ringraziarla per avergli donato affetto e dolcezza. Ogni volta che mi ascoltava leggerla, gli si illuminava il viso”. Anche quella era una lettera da lontano, scritta per un amico strambo e geniale. Una figura centrale nella mia vita, anche se non ci si sentiva spesso.
Infine, la lettera è il metodo di comunicazione che ho scelto per il libro che sto a fatica finendo. Scrivo a tutti e a tutto, da Sergio Endrigo al salotto della nostra casa in via Sismondi; da mia madre alla distanza. Un libro molto complesso, a dire il vero, anche perché ormai si comunica attraverso le chat, attraverso vocali. A volte, addirittura con delle e-mail, ma anche queste stanno diventando obsolete. Non ci lasciamo più spazio per comunicare attraverso tante parole; c’è chi dice che ormai il nostro cervello non viene più esercitato ad esprimere un concetto che richiede uno sforzo mentale. Scrivere delle lettere è diventato un puro atto d’amore, un desiderio che non si riesce a frenare per comunicare, per condividere emozioni, per desiderare di coinvolgere altre persone in un passaggio della nostra vita. Chi, come me, ha sempre tenuto un diario, e cioè un dialogo interiore con sé stessi, ha scritto la propria autobiografia, ha messo nero su bianco le emozioni di quando si era ragazzi, di quando il corpo cambiava e i pensieri anche. I passaggi della nostra vita, quelli accettati e quelli troppo difficili da capire da adolescenti. Tutto quello che c’è dietro a un Caro Diario.
Mentre a fatica scrivo il libro, sto imparando ancora una volta a guardarmi dentro, ritrovo la necessità di condividere ciò che la morte di mia madre mi ha imposto di diventare: un’adulta. Sembrano passaggi ovvi: i genitori prima o poi invecchiano e se ne vanno. Fa parte della vita. Eppure, benché sia un dolore comune è anche profondamente intimo e doloroso.
Un po’ come le lettere.
Lettera da Lontano (Enzo Jannacci)
Lettera da lontano
Lettera da seguire le parole con l'indice di una mano
Lettera scritta fuori dai denti
Lettera senza firma, lettera con pochi argomenti
Lettera dal carcere
Lettera scritta da un minore
Lettera che non capisci se sei tu che non vivi o
O se è lui che non muore
Lettera di un cantante
Lettera profumata come quella di una vecchia amante
Lettera che ti penso
Lettera che più la guardo, più mi sembra senza senso
Lettera che sembra una canzone d'amore
Lettera con troppi diesis e pochissimo cuore
Lettera per Silvia Barladini, non servirà a niente
Ma almeno saprà che le siamo vicini
Lettera per chi ha solo rimorsi
Da leggere a voce alta, ma a piccoli sorsi, lettera piena di guai
Lettera per chi era in guerra e di lettere non ne riceveva mai
Lettera per mio figlio che mi ha guardato cantare come fossi io il figlio
Lettera per mia moglie che non ha avuto un marito, ha avuto solo le doglie
Lettera a chi ha vissuto tutta la vita
Accompagnato solo dalla sua miseria
Dalla sua dignità, dalla sua morte, dalle sue emozioni
Lettera che ha visto sparire insieme al sole
Alla sua malattia poco per volta tutte le sue illusioni
Lettera a chi si rifiuta di accettare comici, musicanti, poeti, medicastri e cantori di canzoni
Lettera per il mio pianoforte che è l'unico a non avermi fatto uscire con tutte le ossa rotte
Lettera per il tempo che a vent'anni nessuno ti dice
Che vola via come un tipo particolare di vento
Lettera a Vasco Rossi, mi piace sentirgli dire che oggi è spento
Lettera a chi ha avuto il coraggio di sfidare
Assassini, bugiardi, solo mezzi imbroglioni
Lettera consegnata a voce a tutta la gentile
Normale, ipocrita, massa di rompicoglioni