di Antonella Patete. Pubblicato in Redattore sociale del 27 febbraio 2023.
Non si sono fatte attendere le reazioni delle organizzazioni della società civile di fronte al naufragio di Crotone, che ha visto un peschereccio partito da Smirne, in Turchia, infrangersi tra le onde, con un bilancio, ancora provvisorio, di almeno 59 morti, tra cui molte donne e bambini. Di seguito una sintesi parziale.
Sos Villaggi dei Bambini, Non possiamo più permettere tragedie simili, basta vite spezzate
“Di fronte all’ennesima tragedia umana e morale, che coinvolge tantissimi bambini, non possiamo più girarci dall’altra parte – scrive l’organizzazione in una nota –. Servono politiche incisive e comuni da parte dell’Europa che non può restare ferma a guardare. Esistono i diritti dell’uomo da rispettare, non possiamo più permettere tragedie simili, basta vite spezzate. È necessario lavorare per permettere a chi parte, di poterlo fare in maniera legale e umana e occorre una risposta concreta anche dal punto di vista dell’accoglienza. Importante aprire corridoi umanitari per chi fugge da guerra, carestie, dittature.
Centro Astalli, dolore e sgomento per le decine di vittime del naufragio al largo della Calabria
“Dolore e sgomento nell’apprendere che su una vecchia barca di legno sono state stipate 250 persone in fuga da Iran, Afghanistan e Pakistan. Si tratta di Paesi senza libertà, democrazia e pace. Le istituzioni nazionali e sovranazionali non rimangano ferme davanti a questa tragedia”. Padre Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli aggiunge: "Lasciar morire in mare è inaccettabile. La politica, di qualunque orientamento, non può non agire per salvare vite umane. Purtroppo le politiche di chiusura ed esternalizzazione delle frontiere europee degli ultimi anni hanno ampiamente dimostrato di essere fallimentari, inutili e di favorire il traffico e la tratta di esseri umani. Le migrazioni non si possono fermare ma si devono gestire. In questo il diritto internazionale e la nostra Costituzione indicano l'unica strada percorribile: accoglienza, protezione e tutela dei diritti umani per ogni essere umano".
La Comunità di Sant’Egidio ha espresso il proprio cordoglio ai familiari delle vittime e dei tanti migranti dispersi per il naufragio del barcone a pochi metri dalle coste della Calabria. “Di fronte alla morte di intere famiglie con bambini e persone fragili che fuggono da paesi come Iran, Pakistan e Afghanistan, non ci si può fermare al semplice sdegno – si legge in una nota –.E ' necessario attivare urgentemente programmi di reinsediamento europei dai paesi del Sud del Mediterraneo; incrementare le quote dei decreti flussi insieme a nuove vie di ingresso regolare, unica soluzione per poter gestire un fenomeno che è di vaste proporzioni. Modelli che funzionano perché favoriscono l’integrazione, come i corridoi umanitari, che la nostra Comunità porta avanti insieme a diverse realtà ormai dal 2016 oltre all’ingresso per motivi di lavoro, di cui tanto ha bisogno il nostro paese. Ma chiediamo soprattutto all’Europa di uscire dal suo torpore e da logiche di chiusura che non favoriscono l’immigrazione regolare – si legge ancora – incrementando la cooperazione e attivando subito un "piano speciale" di aiuti e di sviluppo per i paesi di provenienza dei migranti, sull’altra sponda del Mediterraneo e nell’Africa subsahariana.
“Decine di persone sono morte nel tentativo di raggiungere le coste italiane. Cadaveri sono stati ritrovati sulla spiaggia, altre persone sono e rimarranno disperse in mare. Di fronte a simili tragedie, la Caritas Italiana richiama tutti alla propria responsabilità per trovare soluzioni adeguate di fronte al fenomeno globale delle migrazioni, che guardino al bene comune e non a interessi di parte”. Caritas Italiana ribadisce l’urgenza di una risposta strutturale e condivisa con le istituzioni e i diversi Paesi, affinché l’Italia e l’Europa siano all’altezza delle loro tradizioni, delle loro radici e del loro umanesimo. La questione delle migrazioni, della fuga dalla miseria e delle guerre, non può essere gestita come fosse ancora un’emergenza. Penalizzare, anziché incoraggiare, quanti operano sul campo non fa che aumentare uno squilibrio di umanità. La vita è sacra e va salvaguardata, sempre: salvare le vite resta un principio inviolabile”.
Acli, si metta fine alle stragi dell’indifferenza
“Mentre si continua a discutere di chi deve farsi carico del salvataggio in mare della vita di migliaia di bambini, donne e uomini che scappano dalle peggiori tragedie umanitarie del secolo, sulle spiagge italiane, a pochi chilometri da Crotone, un barcone con 250 persone a bordo non è riuscito a raggiungere la costa”. Così le Acli in una nota sulla tragedia di Crotone. “Mentre i governi europei discutono delle responsabilità del soccorso e dell’accoglienza di chi fugge da guerre, persecuzioni e calamità naturali, intanto che decidono come esternalizzare le frontiere e costruire nuovi muri, la contabilità di morte continua a scandire le sue vittime”. Per favorire il soccorso in mare, le Acli chiedono al governo italiano di ritirare il "decreto ong" e, al tempo stesso, chiedono all'Unione Europea un vertice permanente che, nel rispetto del diritto internazionale, doti l'Unione di una strategia di accoglienza su tutte le rotte di accesso all'Europa.
Arci, 60 morti, tanti dispersi, ancora vittime del cinismo dei governi
“Ancora morti. Ancora vittime del cinismo dei governi che, senza alcuna vergogna, continuano ad impegnarsi per impedire alle persone di mettersi in salvo, anziché provare a salvarle e a sottrarle ai rischi connessi alle fughe via mare, all’attraversamento delle frontiere con mezzi fatiscenti e totalmente inadatti”. Se queste persone avessero potuto scegliere vie legali e sicure garantite dai governi per attraversare le frontiere, non si sarebbero rivolte a chi organizza questi viaggi pericolosi. Se avessero potuto avere un visto e prendere un aereo non sarebbero morte. Se ci fosse stato un programma di ricerca e salvataggio europeo, forse si sarebbero potute salvare”. Qualcuno prima o poi chiederà conto di quanti lucrano elettoralmente sull'immigrazione, criminalizzandola e causando le tragedie cui siamo costretti ad assistere”.
Cgil, ennesima strage conseguenza di politiche sbagliata
“Ancora una volta piangiamo decine di vittime: donne, uomini e bambini partiti su un barcone alla ricerca di una vita migliore o, semplicemente, alla ricerca di una possibilità di sopravvivenza. Ma piangere non basta. La prima causa di queste stragi va rintracciata nelle politiche sbagliate”. Lo affermano, in una nota, Cgil nazionale e Cgil Calabria. “Le politiche europee e del nostro Paese, che insistono sulla esternalizzazione delle frontiere, sulla perseguibilità di chi soccorre e non di chi sfrutta, sulla chiusura dei porti, sono la prima causa di queste tragedie. Non si tratta di speculare, si tratta di dire le cose come stanno e assumersi le proprie responsabilità”.
Save the Children, quando la morte di centinaia di persone conterà qualcosa?
"Non possiamo assistere silenti alla morte di decine di persone a causa di un naufragio a poche miglia dalle coste italiane nel tentativo disperato di raggiungere l’Europa per cercare un futuro possibile, spezzato dal drammatico naufragio, che conferma come il Mediterraneo centrale sia tra le rotte migratorie che causano il numero più elevato di vittime, tra cui donne e minori. Non possiamo non chiederci, con indignazione, quando queste morti smetteranno di essere numeri e ci sarà un reale impegno per evitarle. È più che mai urgente un’assunzione di responsabilità condivisa tra gli Stati membri e le istituzioni europee che disponga un meccanismo coordinato e strutturato di ricerca e salvataggio delle persone in difficoltà in mare, agendo nel rispetto dei principi del diritto internazionale, e che si ponga l’obiettivo di garantire vie sicure e legali per l’ingresso in Europa.
Libera e Gruppo Abele, necessario ripartire dalla Dichiarazione dei diritti Umani
La tragedia avvenuta al largo delle coste calabresi ci dice che quella barca che dovrebbe farci sentire con-sorti, accomunati da una simile sorte, resta per ora una speranza: il mondo continua a essere diviso in transatlantici e zattere, benestanti e disperati, stanziali e migranti per forza. Bisognerebbe smetterla di chiamarle migrazioni: sono deportazioni indotte! Nessuno lascia di sua spontanea volontà gli affetti, la casa, affrontando viaggi rischiosi in mano a organizzazioni criminali e in balia degli eventi atmosferici. Lo fa solo perché costretto da un sistema economico intrinsecamente violento, sistema che colonizza, sfrutta e impoverisce vaste regioni del mondo. Lo fa perché l’Occidente globalizzato, in nome dell’idolo profitto, gli fa terra bruciata attorno offrendogli in alternativa sfruttamento se non schiavitù, derivate distinzioni ipocrite, disoneste, come quella tra “profugo” e “migrante economico” – come se la ferita economica e quella bellica avessero una diversa radice – o espressioni disumane come «carico residuale», dove l’essere umano è equiparato una volta per tutte a merce, a valore di scambio”. Per fermare le deportazioni indotte chiamate migrazioni non basta allora stabilire accordi economici con Paesi di provenienza, il più delle volte complici o addirittura agenti della logica di sfruttamento occidentale. Occorre ripartire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani, occorre ripartire dal valore inviolabile della persona, dal suo diritto a una vita dignitosa, libera e anche liberamente nomade: nomadismo del sentirsi ovunque a casa su una Terra dove abbiamo davvero imparato tutti a sentirci e ad agire come passeggeri di un’unica barca che procede verso il bene comune, a cominciare da quello di chi, ancora naufrago, chiede di essere riconosciuto e accolto come persona.
sintesi di Alessandro Bruni
per leggere l'articolo completo aprire questo link