di Claudia Bellante. Pubblicato in il Tascabile del 16 marzo 2023.
Il mito scandinavo della natura selvaggia
Stralcio dell'intervista a Massimo Ciaravolo.
Massimo Ciaravolo, professore di lingue e letture scandinave all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha studiato le tappe dei fenomeni migratori che hanno coinvolto la penisola scandinava a partire dal boom economico negli anni Cinquanta e Sessanta. Ciaravolo ricorda la figura di Olof Palme, primo ministro svedese in due tranche, tra la prima elezione nel 1969 e la sua morte per assassinio nel 1986. La politica estera di Palme venne guidata dal pacifismo, dal rispetto per i diritti umani e dal terzomondismo, e diede forte impulso all’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Ma la scomparsa di Palme segnò la fine di un’epoca e coincise con l’emergere degli attuali movimenti e partiti xenofobi in difesa dei “valori” tradizionali.
Si legge nel resoconto di una lezione di Ciaravolo dal titolo “Politiche e narrazioni della migrazione in Svezia e in Scandinavia”: “Il bacino elettorale di questi partiti sono spesso socialdemocratici delusi, anziani, persone etnicamente scandinave rese marginali dallo sviluppo iperliberista delle società globalizzate”.
Quando lo contatto aggiunge: “Lo stesso governo di destra che ha vinto le elezioni lo scorso settembre in Svezia ha origini neonaziste, ma incontra il sostegno delle fasce più deboli che sono inquiete e si sentono invase. Nelle grandi città sono evidenti i fenomeni di ghettizzazione e di violenza da parte delle gang”.
“Se quello che immaginiamo”, riflette Ciaravolo, “è un’emigrazione da parte del mondo ricco, climaticamente minacciato, sicuramente i paesi nordici attraggono molto anche per il rapporto diverso che hanno con la natura selvaggia”. Ma attenzione a ciò che si nasconde dietro a questa narrazione.
“La Norvegia”, sottolinea, “è il principale produttore di petrolio dell’Europa occidentale, il Baltico è fortemente inquinato a causa dell’agricoltura intensiva e la stessa Svezia sta sfruttando le sue miniere di ferro generando forti conflitti nelle zone abitate dai Sami in Lapponia”. Inoltre, la recente scoperta del più grande giacimento di Terre Rare d’Europa a Kiruna, a circa 20 miglia dal circolo polare artico, potrebbe provocare ulteriori problemi.
La tendenza è confermata dalle scelte del nuovo governo, come sottolinea la professoressa in Relazioni Internazionali a Sciences Po a Parigi Chiara Ruffa che sulla rivista il Mulino scrive: “Il ministero della Transizione ecologica è stato cancellato, mostrando il poco interesse della coalizione attuale a sostenere questioni ambientali, in forte contrasto con l’attenzione tradizionale della Svezia verso le questioni climatiche”.
La Siberia come futuro Eden
Stralcio dell'intervista a Andrea Membretti, coordinatore scientifico di MICLIMI (Migrazioni climatiche e mobilità interna nella metromontagna padana)
E proprio la Siberia, per quanto al momento possa suscitare una certa comprensibile ritrosia, potrebbe rappresentare il nuovo Far West, in una visione del mondo climaticamente ribaltata. “In Europa tendiamo a pensare al nord come via di fuga ma in realtà quei territori sono difficili da riabitare. La Norvegia ad esempio è montuosa, ci sono i fiordi, i problemi di comunicazione sono enormi e c’è una densità già alta. Ma se guardiamo a nord est, verso l’artico”, spiega sempre Membretti, “ci ritroviamo in un territorio spopolato che sta affrontando in modo profondo il cambiamento climatico”. Permafrost che si sta sciogliendo, bolle di gas che spuntano fuori, esalazioni che possono essere nocive, virus imprigionati. “Ci sono condizioni ambivalenti ma c’è spazio a non finire. La terra sarà sempre più fertile e coltivabile, le temperature si alzeranno e lo scioglimento dei ghiacci a nord del circolo polare artico consentirà l’apertura di nuove via commerciali. Stiamo collaborando con l’Università statale di Mosca a un progetto sulla possibilità di abitare l’enorme vastità di aree che loro hanno a disposizione, caratterizzate da una bassissima densità di popolazione e con città che si sono sviluppate fino ad ora unicamente intorno alle miniere e alle centrali nucleari”. La nuova frontiera, conclude, ha svariate attrattive e fragilità ecosistemiche enormi alle quali va aggiunta l’evidente variabile politica, vista la guerra dell’ultimo anno. “Ma tutte le guerre, al di là del lascito terribile, prima o poi finiscono; e l’Europa ha già sfruttato la maggior parte delle sue risorse”.
Che una regione del pianeta climaticamente per eccellenza ostile (e associata a una delle massime espressioni della crudeltà umana) possa diventare un accogliente rifugio, è sostenuta anche dalle ricercatrici Elena Parfenova, Nadezhda Tchebakova, e Amber Soja che già nel 2019 hanno pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters uno studio dal titolo: Assessing landscape potential for human sustainability and ‘attractiveness’ across Asian Russia in a warmer 21st century. “In questo lavoro”, spiegano, “esaminiamo il potenziale di terre che potrebbero beneficiare del riscaldamento climatico e come questi paesaggi potrebbero diventare attraenti e vitali per i migranti climatici”. E concludono con una previsione al 2080: “In un futuro dal clima più caldo, la sicurezza alimentare, in termini di distribuzione delle colture e capacità produttiva, si prevede possa diventare più favorevole per le persone insediate in quella che attualmente è la Russia asiatica estremamente fredda. Tuttavia, uno sviluppo territoriale adeguato dipende dalle politiche socio-economiche intraprese dalle autorità nel prossimo futuro”.
sintesi di Alessandro Bruni
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