di Alessandro Bruni. Presentazione di sintesi e stralci tratti dal libro “Nessuno esca piangendo” di Marta Verna. UTET. 2016.
La genitorialità implica un processo di riconoscimento del figlio come altro da sé. In questo senso, è assolutamente fondamentale che la nascita del bambino venga preceduta dall'elaborazione della crisi legata al passaggio della coppia dalla coniugalità alla genitorialità.
Il passaggio dalla relazione a due alla relazione a tre, infatti, comporta una serie di profonde modificazioni nell'universo della coppia e un indispensabile processo di re-distribuzione di tutte le proprie energie. Il processo del divenire genitori dovrebbe quindi essere un'evoluzione e una crescita della coppia, non una "rottura" e, proprio per questa ragione, prima di intraprendere questo cammino, sarebbe opportuno fare una serie di considerazioni e comprendere che nella genitorialità sarà l'essere del bambino a divenire centrale e "focale". Dunque, la genitorialità non è "decorativa", non è qualcosa che si aggiunge a uno stato precedente, ma è piuttosto qualcosa che modifica profondamente e durevolmente le singole personalità dei genitori e la coppia nel suo insieme, la quale diventa una "famiglia".
E' noto che la scelta di avere un figlio porta numerosi cambiamenti nell'equilibrio di coppia instillando un concetto di futuro e cambiamento che è difficilmente programmabile, ma che allo stesso tempo è carico di aspettative, desideri e fantasie più o meno realistiche che vengono risposti nel futuro figlio immaginario.
L'inizio del percorso genitoriale è segnato dal passaggio da una gestione intima e privata del concepimento a una medicalizzata e asettica. Già dalle prime fasi diagnostiche, si ha uno scollamento tra gli aspetti emotivi della sessualità e della procreazione e le pratiche mediche asettiche e stereotipate necessarie. Questo scollamento tra aspetti emotivi e medici è cruciale e trasversale nel percorso genitoriale poiché è proprio attraverso la sua gestione che la coppia ha la possibilità di gestire questo fenomeno altamente stressante e destabilizzante.
E' noto che una diagnosi di infertilità porta a una rottura: di un equilibrio, di un desiderio, di un piano individuale e condiviso. Porta anche alla previsione del lutto, della possibile perdita di qualcosa che non si è ancora ottenuto ma che già si sa potrebbe non arrivare mai.
Nell'infertilità la diagnosi è un momento estremamente delicato. Molto spesso, proprio per la medicalizzazione del processo diagnostico e terapeutico, le potenti emozioni che emergono negli individui vengono estrapolate da questo processo, accentuando lo scollamento tra emotività e medicalizzazione nel percorso di procreazione. Il supporto e la consulenza psicologica possono aiutare moltissimo, sia a livello di coppia che individuale, a mantenere una comunicazione emotiva attiva tra i vissuti dell'individuo e tra i membri della coppia.
Il trattamento dell'infertilità non è un percorso breve e può richiedere mesi, a volte anni. Nell'arco temporale che contiene diversi trattamenti il singolo e la coppia attraversano vari stadi emotivi, strettamente dipendenti dagli esiti del processo di fecondazione assistita.
L'altalena emotiva parte dalla speranza relativa all'impianto degli embrioni, la felicità e l'attesa dell'esito dell'impianto, fino alla delusione e al dolore del fallimento del processo, che porta a un nuovo tentativo.
«Umiliazione, dolore e un profondo senso di solitudine. Solitudine da tutti, dal tuo compagno, da tutte le donne maledette che sono diventate madri, dagli amici che non capiscono, che in fondo, e lo sai, pensano che tu stia esagerando. Tu, il tuo sangue, il tuo lutto.»
Il mancato concepimento, il fallimento della procedura di impianto e l'arrivo delle mestruazioni, sono passaggi che formano un lutto reiterato, che non si conclude mai veramente ma che continua a riaccendersi a ogni tentativo fallito.
Attraversare così tanto dolore è una prova durissima per la coppia che a ogni fallimento si trova a un punto diverso, sempre più doloroso, della relazione.
Oltre il lutto, oltre il dolore, cosa c'è? Cosa succede dopo? L'accettazione del fallimento del "non succederà" è un passaggio difficilissimo. Il tollerare la sconfitta è un processo estremamente faticoso che ognuno porta avanti con strategie diverse. Il riempire la vita di stimoli diversi, per non vedere più il dolore, le emozioni negative e la frustrazione è uno dei tanti modi per evitare di entrare in contatto con il sentimento di profonda perdita e frustrazione.
Il processo di accettazione che è auspicabile in questi casi è un obiettivo che il soggetto e la coppia possono raggiungere, ma non necessariamente allo stesso modo.
In terapia il percorso di accettazione va sostenuto e proposto in maniera molto fluida e graduale. Accettare significa lasciare che l'aspettativa disattesa permei senza però permettere la sopraffazione. Accettare il dolore e la perdita significa trasportare con noi, dentro di noi, il peso di qualcosa che non c'è più e non ci sarà mai più, ma allo stesso tempo riuscire a vedere quello che è rimasto, quello che ancora rimane oltre alla mancanza.
Lasciare che il dolore trasformi la propria vita è un processo inevitabile e onesto nei confronti di noi stessi. Le intersecazioni tra la dimensione individuale, dell'altro e di coppia sono andamenti obbligati che terminano quasi sempre con il ritorno al sé.
La riorganizzazione del sé, dell'altro e della coppia avviene attraverso il cambiamento, alla ricerca e alla scoperta di cosa si può essere e cosa si può diventare oltre il dolore.