di Sandro Spinsanti. Sguardi alla prossimità e all'etica della salute. Pubblicato nel blog dell'autore il 20 aprile 2023. focus caregiver
Di che cosa parliamo quando viene invocata l’etica nel contesto di cura e, più in generale, in ambito biomedico? La domanda suona superflua: si tratta di temi esplorati in lungo e in largo, talvolta anche in profondità. L’etica è una presenza obbligata sullo scenario della cura. Da sempre; ma con maggiore vivacità da quando si è qualificata come bioetica e ha affrontato in modo innovativo le questioni relative al nascere e al morire, e in generale al potere che i progressi della scienza e della tecnologia hanno messo in mano ai cittadini nell’ambito della cura, scompaginando i rapporti tradizionali in medicina.
L’interesse spostato sul modo in cui l’etica si presenta nello scenario della cura fa emergere un ventaglio di pratiche molto differenziate. L’accoglienza dell’etica sia da parte dei professionisti della salute, sia da coloro che fanno ricorso ai loro servizi dipende in modo determinante dalle modalità in cui si presenta, più che dai contenuti stessi. La riflessione qui proposta ha l’ambizione di suggerire un cambio di Gestalt, invertendo il rapporto tra figura e sfondo e mettendo a fuoco non tanto che cosa afferma l’etica, ma il modo in cui lo propone.
Le modalità sono molteplici e non di rado si sovrappongono. Per chiarezza, le passeremo in rassegna in modo differenziato. La finalità è quella di contrastare una proposta dell’etica come estranea al mondo della cura e di farla emergere dall’interno in modo “gentile”.
L’etica in modalità ideologica
Menzioni l’etica e l’associazione mentale più spontanea è quella con l’etica vestita di ideologia. Il termine è plurivalente: ci trasporta sia nei territori auspicabili nei quali l’ideologia si identifica con un deposito di valori capaci di dare un senso a una comunità, sia in braccio al fanatismo, dove l’ideologia equivale a una dottrina astratta che acceca e induce a falsare la realtà. Ridotta in termini colloquiali, l’etica che si presenta in modalità ideologica corrisponde alla convinzione soggettiva di sapere che cosa sia auspicabile e che cosa sia riprovevole nella cura. La convinzione può reggersi su fondamenti religiosi – venendo piuttosto a corrispondere a una morale confessionale – o su argomentazioni razionali.
Naturalmente il pluralismo etico è una condizione in cui deve vivere ogni società democratica e aperta. Scoprire “la verità degli altri” può anche essere esaltante; in ambito sanitario così come in ogni altro settore della vita sociale. Non tutti hanno questa disposizione interiore. Tutto sommato, la seduzione del dibattito ideologico non ha conquistato la maggior parte dei professionisti sanitari. Tendenzialmente la si rimanda agli specialisti, filosofi o bioeticisti. I tentativi di introdurre l’etica nella formazione di base e in quella continua sono stati recepiti come un peso necessario, più che come un’opportunità. Più felice è stata la ricezione quando l’etica è stata presentata in connubio con il diritto e con la medicina legale, suggerendo la prevalenza della “medicina sicura” rispetto alle pratiche richieste dalla cultura del nostro tempo.
L’etica giuridico-amministrativa
Una modalità diversa di presentare l’etica nel contesto della cura è quella giuridico-amministrativa. In questo scenario l’etica viene a circoscrivere l’ambito dei comportamenti leciti; ancor più, costituisce in sé una legittimazione. Esemplari in tal senso sono i comitati per la sperimentazione dei farmaci e le ricerche in ambito bio-medico. Per quanto sia solida e motivata la convinzione del ricercatore sull’appropriatezza scientifica della ricerca che vuol intraprendere, deve sottoporla all’approvazione da parte di questo organismo. È un vincolo ineludibile. Possiamo alla fine concludere che la ricerca è etica perché approvata dal comitato; o, inversamente, non è etica e quindi è giuridicamente illecita se il comitato non ha concesso il suo benestare, in base ai criteri sia scientifici che umanistici che devono guidare la ricerca e vanno valutati, da questo punto di vista, da chi è abilitato a concedere l’autorizzazione. Che si tratti di avviare la sperimentazione di un farmaco, di prescrizioni compassionevoli di medicinali per pazienti affetti da patologie per le quali non sono disponibili valide alternative terapeutiche, o addirittura di avviare procedure per mettere fine alla propria vita con l’assistenza di un medico, la funzione di questo organismo è di svolgere un controllo metodologico dall’esterno circa la regolarità e la completezza delle procedure, assicurando così una protezione per le persone vulnerabili.
L’etica come consulenza
Diverso è il profilo dell’etica quando si affaccia sullo scenario della cura in modalità di consulenza. La complessità delle scelte etiche determinate dagli sviluppi recenti della biomedicina ha indotto a introdurre il ricorso a esperti di etica, sia in forma individuale di professionisti con una competenza specifica, sia come comitati appositi. Il cambiamento sottostante comporta una clamorosa discontinuità con la struttura etica della medicina del passato. La bioetica ha avuto l’ardire di mettere in discussione il tradizionale paradigma ippocratico e di rivendicare il principio dell’autodeterminazione di colui che riceve le cure come correttivo dell’unico criterio del bene del paziente, deciso dal medico “in scienza e coscienza”. Successivamente ha preso rilievo il movimento delle Medical Humanities, mettendo in evidenza la complessità epistemica di nozioni come salute – malattia – guarigione, quando sono sottratte al riduzionismo operato dalle scienze naturali. Sul palcoscenico si è poi presentata la Medicina Narrativa, con la sua vivace rivendicazione dell’importanza della parola nel rapporto di cura e della competenza comunicativa come elemento costitutivo della professionalità terapeutica. Attualmente sono pochi i sistemi sanitari regionali che hanno attivato la rete di questo tipo di comitati.
L’etica in modalità di counseling
Dall’etica in modalità di consulenza a quella che si presenta come counseling: apparentemente la stessa cosa, salvo un piccolo adattamento linguistico, in realtà un cambio di scenario. È una modalità del tutto diversa di concepire e presentare l’etica nello scenario della cura. Il primo sforzo da fare è di evitare la trappola dell’assonanza linguistica, che fa equivalere il counseling alla consulenza; ancor più, traducendo il termine inglese a orecchio, lo si potrebbe far scivolare verso l’attività di dare consigli. Una seconda insidia è psicologica, perché la tendenza a offrire buoni consigli è molto diffusa. Non c’è limite al buon cuore di certe persone che, in mancanza d’altro, eccedono in suggerimenti.
Ebbene, il counseling non ha niente a che vedere con questi comportamenti. Coloro che lo praticano hanno anche differenziato la loro attività dalla psicoterapia. Tramite il codice deontologico il counselor si presenta come “la persona che, con le proprie competenze, è in grado di favorire la soluzione a un quesito che crea disagio esistenziale e/o relazionale”. Il suo punto di partenza è l’ascolto, piuttosto che la rigida applicazione di principi. A differenza della linearità che hanno i problemi etici quando sono affrontati nella modalità ideologica e anche in quella consulenziale, al letto del malato si presentano come un groviglio di indicazioni cliniche, di aspirazioni personali e di rapporti familiari. L’approccio etico in modalità di counseling non consiste nel suggerire la cosa giusta da fare, ma nello stimolare la capacità della persona di trovare ciò che è più appropriato in armonia con il proprio disegno biografico.
L’etica come esortazione
Una polarità del tutto opposta all’etica che si presenta con una veste giuridico-amministrativa è l’etica che si accosta allo scenario della cura con una modalità che possiamo chiamare esortativa. O parenetica. Distante da ogni intento di garanzia procedurale, agisce piuttosto attivando il registro della “moral suasion”. Il topos più celebre in tal senso è la parabola evangelica del Buon Samaritano. Siamo nell’ambito delle buone pratiche, che meritano di essere conosciute e imitate.
È il terreno privilegiato della medicina narrativa. Esemplari in tal senso sono le “Storie Slow”. Il movimento che si colloca sotto lo slogan della Slow Medicine ha dato vita, nel proprio sito, alla raccolta di una serie di racconti qualificandoli, appunto, come Storie Slow.
Fino alla revisione del codice deontologico del 1995 non si faceva menzione dell’obbligo del medico di fornire un’informazione veritiera e di ottenere il consenso del malato a qualsiasi procedura diagnostica e terapeutica, previa informazione. Esplicitamente, il Codice prevedeva l’informazione veri riservata ai familiari, alle spalle del malato: “Il medico può valutare l’opportunità di tenere nascosta al malato e di attenuare una prognosi grave o infausta, la quale dovrà essere comunque comunicata ai congiunti” (Codice del 1989, art. 39). L’attenzione a una informazione che non escluda elementi di speranza è costantemente ribadita nelle diverse redazioni del codice che si sono susseguite nel tempo (1995, 2006, 2014). La più recente suona: “Il medico adegua la comunicazione alla capacità di comprensione della persona assistita o del suo rappresentante legale, corrispondendo a ogni richiesta di chiarimento, tenendo conto della sensibilità e reattività emotiva dei medesimi, in particolare in caso di prognosi gravi o infauste, senza escludere elementi di speranza” (Codice del 2014).
Il racconto fornisce un’efficace illustrazione della “competenza comunicativa” che, secondo la conferenza di consenso sulla Medicina Narrativa promossa dall’Istituto Superiore di Sanità (Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, 2014), è richiesta ai nostri giorni a qualsiasi curante. Questo approccio permette al curante di entrare nell’ambito delle scelte etiche delle persone che cura con un accompagnamento che chiameremmo “gentile”.
Conclusioni
La carrellata delle diverse modalità con cui l’etica si presenta sullo scenario della cura non intende svalutarne nessuna: a condizione che si evitino le insidie specifiche che le minacciano, tutte hanno la loro utilità. E possono essere impiegate in modo differenziato, a seconda delle esigenze prevalenti. Il filo comune che tiene insieme le diverse modalità è quella che potremmo chiamare l’aria di famiglia: l’etica in medicina è di casa, non ha bisogno di essere importata dall’esterno. In particolare nella clinica: fa parte essenziale della cura. Avremo bisogno piuttosto di educare il nostro sguardo perché sappia riconoscerla. E imparare a utilizzare la modalità appropriata alle diverse circostanze.
sintesi di Alessandro Bruni
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