di Cristina Giudici. Pubblicato in Nuove Radici World del 29 giugno 2023.
Quando avevo vent'anni, io che sono diventata adulta fra gli Anni '80 e '90, alla mia generazione erano fatte più o meno solo quattro domande:
- 1) Se prendevamo droghe e, nel caso, leggere o pesanti.
- 2) Se eravamo post comunisti o qualcosa di simile.
- 3) Il nostro rapporto con il sesso.
- 4) Se avevamo intenzione di laurearci anche se fuori corso.
Così, tanti sono morti di overdose, tanti altri sono diventati comunisti o della sinistra de noantri fuori tempo massimo mentre la maggior parte sono andati all'estero per un anno sabbatico e non per l'Erasmus perché vivevamo anni floridi e per lavorare (o laurearsi ) c'era sempre tempo. Insomma, le opportunità ci sembravano infinite: era una vita semplice e soprattutto non interconnessa.
La gen Z, cioè i nati tra il 1997 e il 2012, viene spesso criticata per l’eccessivo uso della tecnologia e dei social media che, secondo i sempre-esperti, potrebbe influire negativamente sulla loro capacità di socializzazione e sulla loro salute mentale. Inoltre, altri sempre-esperti sostengono che gli adolescenti della gen Z abbiano difficoltà a comunicare e relazionarsi con il mondo reale. E siano insomma simili all’intelligenza artificiale: velocissimi a immagazzinare innumerevoli informazioni in modo autonomo ma troppo sconnessi dalla realtà per elaborarle in modo articolato. Con la tendenza a cercare gratificazione immediata e a ottenere risultati rapidamente, senza dedicare il tempo e lo sforzo necessari per raggiungere i propri obiettivi e quindi fragili davanti alle difficoltà.
Ma è vero? O meglio: sono solo questo? No, perché la generazione Zeta ha competenze preziose per il futuro di tutti. Spesso duttile nel lavoro di squadra e nella collaborazione. Inoltre è attenta alla diversità e all'inclusione: per chi è cresciuto nel terzo millennio è naturale apprezzare le differenze culturali e di genere e lavorare in ambienti multiculturali. Attivisti digitali, i ragazzi e le ragazze (no, niente schwa, sorry) si sono spesso trasformati in testimonial delle minoranze di genere, orientamento sessuale ed etnico. Interpretando i canoni (ma anche i dogmi) della società fluida, sono spesso in prima fila nella battaglia per i diritti della comunità LGBTQ+ e la difesa dell’ambiente.
È vero che non hanno voglia di lavorare, come sostiene la vulgata?
La gen Z è spesso accusata di preferire lo scialo dell’esistenza al sacrificio del lavoro, ma questa affermazione non è supportata dai dati. Secondo il rapporto Global Gen Z and Millennial Survey 2023 di Deloitte, in Italia la maggioranza dei lavoratori delle nuove generazioni lascerebbe la propria occupazione se fosse costretta a tornare in ufficio a tempo pieno. Per un migliore equilibrio vita-lavoro, il 39% della gen Z vorrebbe la settimana lavorativa di 4 giorni, mentre per quasi otto su dieci, il tema della salute mentale è fondamentale quando si cerca lavoro.
Molti cercano un impiego gratificante per cui hanno studiato, oltre a un salario competitivo. Altrimenti rinunciano perché non sentono il dovere di lavorare a tutti i costi. Morale: vogliono un’occupazione che sia in linea con i propri valori e interessi.
sintesi di Alessandro Bruni
per leggere l'articolo completo aprire questo link