di Giovanni Caprio. Pubblicato in Pressenza del 16 giugno 2023.
Il 15 giugno scorso nella Sala della Regina della Camera dei Deputati il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha presentato la Relazione al Parlamento 2023. A seguito alcuni dati significativi.
Al primo giugno di quest’anno le persone detenute in carcere sono 57.230; includono 2.504 donne, mentre ne includevano 2.285 sette anni fa. Dati comparabili, sebbene in aumento di più di 2.500 persone detenute: la capienza, già allora carente, è aumentata nell’arco dei 7 anni soltanto di 1.000 posti regolamentari. Il dato numerico della prima Relazione al Parlamento riportava infatti circa 54.600 persone detenute; accanto a esse le persone in varie tipologie di misura alternativa alla detenzione erano 34.104 a cui si aggiungevano altre 10.097 in misura di comunità: la cosiddetta “messa alla prova” di allora recente avvio.
Oggi, 7 anni dopo, le persone detenute sono più di 57.000, ma ad esse si sono affiancate altre 53.113 in misura alternativa e quelle “messe alla prova” sono 25.716. Le misure alternative e quelle di comunità non sono andate però a diminuzione dell’area detentiva in carcere, ma si sono affiancate a essa. Così l’area di intervento di natura penale è passata da una estensione di 98.854 persone alle attuali 137.366, mentre contemporaneamente i reati di maggiore gravità sono andati progressivamente diminuendo (gli omicidi volontari, per esempio, sono diminuiti nello stesso periodo del 25%, l’associazione mafiosa del 36%, le rapine del 33% ).
Due dati indicano mutamenti: la percentuale delle persone straniere in carcere è diminuita dal 34 al 31,2%; particolarmente diminuita – e questo è un dato positivo – è la percentuale di coloro che sono in carcere senza alcuna condanna definitiva, passando dal 35,2 al 26,1 % nel corso di questi anni.
Resta alto – ed è andato aumentando – il numero di persone ristrette in carcere per scontare condanne molto brevi: 1.551 persone sono oggi in carcere per scontare una pena – non un residuo di pena – inferiore a un anno, altre 2.785 una pena tra 1 e 2 anni.
Mentre scorre la ventitreesima settimana dell’anno. Il numero di persone detenute che hanno scelto di togliersi la vita è già salito a 29 con in più altri 12 decessi per cause da accertare, alcuni dei quali attendibilmente classificabili in futuro come suicidi. Rispetto agli 85 suicidi dello scorso anno, va senz’altro considerato l’affollamento dei luoghi e la sua ricaduta sulle condizioni materiali e sulla spersonalizzazione soggettiva, ma soprattutto vanno considerate le fragilità individuali che dovrebbero interrogarci tutti.
Ben diversi invece sono i dati relativi a minori e ai giovani adulti che hanno mantenuto un complessivo equilibrio nei 7 anni: quelli ristretti negli Istituti penali per minorenni sono, alla stessa data, 390, altri 3.802 sono in messa alla prova e complessivamente il servizio minorile ha in carico 14.473 minori o giovani adulti – erano 14.212 quando relazionai al Parlamento la prima volta. Un rapporto che lascia alla detenzione in carcere una dimensione realmente residuale.
Delle 6.383 persone che nel 2022 sono state poi ristrette nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), soltanto 3.154 sono state effettivamente rimpatriate. Il totale dei rimpatri è stato peraltro molto limitato: 3.916, principalmente in Tunisia (2.308), in Albania (58), in Egitto (329), in Marocco (189) – numeri piccoli rispetto al clamore frequente delle intenzioni annunciate.
Due aspetti destano preoccupazione invece nell’esaminare in dettaglio il panorama delle 632 persone internate nelle attuali 31 Rems funzionanti.
Il primo riguarda la percentuale delle persone accolte in misura di sicurezza provvisoria: il dato del 46,7 % del totale ha certamente incidenza sul numero di coloro che pur in misura definitiva non trovano adeguata sistemazione e conseguente attenzione.
Il secondo riguarda il numero complessivo di persone che sono state dichiarate destinatarie di tale misura e che supera di molto il numero di coloro che al momento della chiusura erano ospitati negli Ospedali psichiatrici giudiziari. Erano 698 a quella data (precisamente al 25 marzo 2015, secondo il Rapporto ufficiale del Ministero della salute e del Ministero della giustizia) i pazienti ancora reclusi in quelle inaccettabili strutture. Dato incomparabile rispetto a quello attuale che, oltre alle 632 persone già accolte in Rems, ne indica altre 675 in lista di attesa e di esse 42 illegalmente recluse all’interno di ben 25 carceri, senza titolo detentivo.
La Relazione fa riferimento anche alle situazioni residenziali, sottolineando come non si tratti di numeri banali poiché sono 12.630 i presidi residenziali socio-assistenziali e sociosanitari, per un totale di più di 400mila posti letto (411.992) e attualmente 305.750 le persone anziane, autosufficienti o meno e le persone adulte o minori con disabilità in essi ospitati.
Il Garante si sofferma anche sulla “questione istruzione” che “non può essere una variabile muta nel percorso detentivo, tale che la sua assenza in ingresso rimanga invariata negli anni se non soggettivamente stimolata da una richiesta della persona ristretta. Non è tollerabile che ci siano ancora quasi 5.000 persone che non hanno completato l’obbligo scolastico e che, anche restringendosi ai soli italiani, ci siano 845 persone analfabete e altre 577 che non hanno concluso il ciclo di scuola primaria di primo livello (nel vecchio lessico, la scuola elementare)”. A tale situazione però fa da contraltare il dato dei 1.427 iscritti ai corsi universitari, nei diversi Poli che si stanno diffondendo nella penisola e che sono coordinati dalla Conferenza nazionale dei Rettori.
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