di Redazione di Fondazione Feltrinelli. Pubblicato nella Newsletter della Fondazione del 17 giugno 2023.
Ora che si chiude l'era Berlusconi, tutti i leader delle opposizioni politiche che hanno tenuto o provato a tenere testa al Cavaliere gli hanno tributato “un posto nella Storia del Paese”. Per metà del Paese Berlusconi fu una cosa, per metà un’altra ma per tutti fu un’ossessione durata quasi trent’anni (Il Post).
E le polemiche sorte sull’opportunità del lutto nazionale proclamato dal governo Meloni hanno riproposto in parte gli opposti schieramenti. Anche se Berlusconi, ormai, non c’è più, la polarizzazione prodotta dal berlusconismo ha fatto emergere una frattura politica e culturale che oggi, in termini diversi, è ancora molto evidente nel paese (GrandContinent).
All’inizio degli anni Novanta, a partire dal suo endorsement a Gianfranco Fini per le amministrative di Roma del ’93 (La Talpa), il Cav si inventò il centro-destra e, malgrado eccessi e divisioni, lo ha tenuto insieme fino ad oggi (Domani), con la virata a destra che ha poco della promessa della rivoluzione liberale delle origini (Wired).
Mentre a sinistra, al netto di Romano Prodi e Walter Veltroni, venivano costruite coalizioni tenute insieme soprattutto dal collante dell’antiberlusconismo. Ma l’antiberlusconismo ha fatto più male che bene alla sinistra italiana, ha scritto Fanpage.
Negli anni in cui il Cavaliere ha esercitato un indiscusso potere politico e controllato saldamente l’informazione, il centrosinistra ha costruito la propria immagine in modo speculare a quella di Berlusconi e della sua coalizione. Contro i barbari di Umberto Bossi, contro i fascisti di Gianfranco Fini, il centrosinistra ha costruito la sua identità. Un’identità che – seppure indebolita – persiste tutt’oggi nel progetto del Pd.
Persino l’attuale ondata femminista italiana sarebbe nata in gran parte per contrarietà all’anziano leader machista. “Sono stata anche io in piazza con quelle di ‘Se Non Ora Quando’ e ricordo bene lo stupore delle organizzatrici davanti ai numeri enormi di una giornata di mobilitazione fai-da-te” – ha scritto Flavia Perina sulla Stampa.
Silvio Berlusconi aveva risvegliato il femminismo, ma il movimento delle donne nel frattempo ha mutato faccia. “Da ‘Se non ora quando’ degli anni Dieci del Duemila a ‘Non una di meno’ è passata davvero tanta acqua sotto i ponti […] e tutto si è rideclinato in alleanza con i movimenti LGBTQ+ e con l’intersezionalità che oggi è una prospettiva cui le giovani non rinunciano” osserva la storica Enrica Asquer (Fondazione Feltrinelli).
Quasi amici Nei tribunali, nelle piazze, nei salotti intellettuali, per gli orfani della sinistra morale di Berlinguer, Silvio Berlusconi è stato il “caro nemico”, catalizzatore dei voti anti-. Non solo il Cav ha bruciato 9 leader del centrosinistra, ma – osserva Domenico De Masi – la sinistra avrebbe preparato l’avvento di Berlusconi, realizzando un programma economico all’insegna delle privatizzazioni che spianò la strada ai neoliberisti (HuffPost).
Si è consumata in quegli anni a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e i primi Duemila una crisi dell’offerta politica dei partiti socialdemocratici che hanno perso la capacità di sintonizzarsi sui bisogni del soggetto storico di riferimento, cioè la classe lavoratrice, “a vantaggio – come suggerisce Alberto Prunetti – di uno scivolamento verso la classe media” (Fondazione Feltrinelli).
E se il berlusconismo è stato un virus, l’antiberlusconismo è stato una malattia autoimmune: dai virus spesso si guarisce, dalle malattie autoimmuni quasi mai – ha scritto Cristiano de Majo su Rivista Studio. “E forse solo i libri di storia potranno dirci quanto male ci hanno fatto i Palasharp, il tifo ottuso per la magistratura... le dieci domande di Repubblica imparate a memoria. È difficile capire quanto male ha fatto all’Italia l’ossessione che identificò nella sconfitta elettorale, giudiziaria, umana di Berlusconi il futuro e il benessere di un’intera comunità”.
Il tutto mentre la sinistra – che in quello che viene chiamato “ventennio berlusconiano” alla fine ha governato più di Berlusconi (Il Giornale) – non si riuscì ad arrivare a regolamentare quel conflitto di interessi tra politica, media e aziende criticato da ogni parte (Il Riformista).
Per il giornalista Michele Santoro, la durata di Berlusconi corrisponde proprio alla debolezza della sinistra italiana. “Cosa ha fatto per non avere il conflitto di interessi? Cosa ha fatto per poter governare questo Paese in alternativa a Berlusconi?”, si chiede (La7).
Achille Occhetto, leader del Pds sconfitto dal Cavaliere nel 1994, a Repubblica ha detto: “La sinistra ha rinunciato fin dall’inizio a un’analisi alta, sistemica”. L’antagonista per eccellenza di Silvio Berlusconi politico, oltre a Romano Prodi (Messaggero), fu l’ex sindacalista Sergio Cofferati.
Nel 2002, da segretario della Cgli, portò tre milioni di persone a Roma, al Circo Massimo, per stoppare la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Collettiva). Berlusconi fu, per il sindacato, “un interlocutore corretto”, ha scritto Cofferati sul Diario del Lavoro. “Poi ci pensò la sinistra con il Jobs Act di Renzi a cancellare l’articolo 18” (HuffPost).
Il Cavaliere nero Nei suoi primi passi, il “palazzinaro” Berlusconi venne sostanzialmente ignorato, se non irriso, dalla sinistra politica. Solo Giorgio Bocca, a metà degli anni Settanta, si accorse di lui e intervistò quello che poi diventerà “il piccolo Cesare”. Ma già in un’intervista rilasciata a Prima Comunicazione, Berlusconi affermava “Un imprenditore non dovrebbe fare politica se i politici gli consentono di fare l'imprenditore."
Eppure, prima del successo elettorale, Forza Italia era considerata a sinistra solo un “partito di plastica”: il suo successo spiazzò e spazzò via le fragili illusioni di una sinistra che si pensava già sicuramente vincente su quello che riteneva né più né meno un parvenu della politica (The Watcher Post).
La prima vera risposta della sinistra fu la nascita dell’Ulivo, con una coalizione di vero centrosinistra. E Romano Prodi fu il vero, e storico, antagonista del Cavaliere nei vent’anni seguenti. Fu lui a capire che solo proponendo, agli italiani, una visione positiva e costruttiva di Paese si poteva contrastare chi vendeva agli italiani un milione di posti di lavoro o l’abolizione dell’Ici (Il Messaggero).
Una spinta che però si dissolse fino all’anatema di Nanni Moretti dal palco di piazza Navona del 2 febbraio 2002. “Con questi dirigenti non vinceremo mai”, disse il regista, diventato anima dei girotondi (Corriere). Poi ci fu il Popolo viola, tornato a manifestare nel 2022 contro l’ipotesi di Berlusconi al Quirinale (Il Sole 24 Ore). Ma solo il presunto “grande complotto” europeo del 2013 riuscì alla fine nell’impresa di mandare via il Cav dal governo del Paese (Corriere).
La storia dell’ex Cavaliere – ha scritto Daniela Preziosi su Domani – è in fondo la storia dei guai della sinistra degli ultimi quarant’anni. Fino alla trasformazione del diavolo decaduto in padre della patria, perché indispensabile alleato dei governi di larghe intese: quello di Monti, Letta e Draghi. Lo hanno detestato e combattuto, ma poi ci hanno fatto i governi – ha scritto Claudio Cerasa sul Foglio.
100 giorni di te e di me Oggi, come allora, il problema nel centrosinistra è lo stesso: qual è la proposta politica alternativa? “L’unica volta in cui la sinistra ha vinto, nel 2006, lo ha fatto per 24mila voti presi all’estero. Da oggi deve pensare a cosa fare per vincere, non per far perdere l’altro. Da oggi, non ci sono più scuse”, ha detto Enrico Mentana alla Stampa.
Venuto meno il chiodo cui era appesa la Seconda Repubblica, serve un nuovo asse di equilibrio. Sarà l’anti-melonismo? “Abbiamo già visto che il neo-antifascismo militante non è vincente”, continua Mentana, “serve identitariamente per essere diversi, ma non porta nulla di più. Bisogna mettere le mani nell’acqua bollente”.
Cento giorni dopo l’elezione di Elly Schlein alla segreteria del Partito democratico, i Dem hanno registrato una sconfitta alle recenti amministrative (Corriere) e riaccolto i transfughi di Articolo 1 (Il Mattino).
Il leader dei Cinque Stelle Giuseppe Conte ha chiuso all’ipotesi di una alleanza (FanPage), mentre il leader di Azione Carlo Calenda ha invitato i Dem a presentare insieme una proposta di legge sul salario minimo (Repubblica).
Nella puntata di Politics dedicata ai “100 giorni di Elly Schein” si dice che i problemi riguardano tanto la compattezza dell’opposizione quanto la forte discussione interna al PD e la linea più radicale che la nuova Segretaria vorrebbe dare al partito, guardando per esempio alla sinistra spagnola e alle misure prese dal il governo di Sanchez sui temi del lavoro e del contrasto alla precarietà (Politics).
Quella Spagna che andrà al voto anticipato dopo la vittoria della destra alle amministrative: nonostante le difficoltà, osserva Valigia Blu, l’esperimento spagnolo di tenere insieme il centrosinistra e la sinistra radicale è un esempio per il progressismo europeo: “i provvedimenti in materia di diritti sociale e civili, assieme alla scelta delle alleanze, configurano un primo tentativo pratico, da parte della sinistra, di andare oltre l’idea della Terza Via. Le condizioni, d’altronde, non sono più quelle degli anni ‘90: il mercato non è più visto come il mezzo per portare prosperità e ricchezza, ma un meccanismo da regolare e su cui intervenire anche massicciamente”.
E i tempi sono forse maturi per andare oltre l’adagio berlusconiano secondo cui “Lo Stato non deve mettere le mani nelle tasche dei cittadini” (Fondazione Feltrinelli).