Il lato oscuro dell'adolescenza nella cronaca
di Chiara Ludovisi. Pubblicato in Redattore sociale del 30 maggio 2023. Sintesi di Alessandro Bruni.
C'è il gruppo di ragazzi napoletani, che prende di mira Arturo, minaccia di ucciderlo e quasi ci riesce. C'è la comitiva di giovanissimi, in provincia di Como, che spadroneggia nel quartiere e promette vendetta alla coppia che cortesemente protesta. E poi c'è lui, il ragazzo di Abbiategrasso che ha accoltellato una professoressa e ora si dice abbia un “disturbo paranoide”.
Mentre si attende di conoscere maggiori dettagli sulla vicenda e sulla storia del ragazzo e di sapere quale sarà il suo destino, Redattore Sociale ha raggiunto Roberta Lippi, giornalista, che ha raccolto decine di storie di adolescenti e del loro “lato oscuro”, abbiamo chiesto come leggere questa vicenda: un caso isolato, o il segno allarmante di un fenomeno drammatico?
“Certamente non è un caso isolato e non è neanche il primo episodio che si verifichi in un ambiente teoricamente sicuro, come la scuola. Non conosco tutta la storia del ragazzo, né il contesto familiare e scolastico e le dinamiche con i compagni e i docenti, ma penso di poter dire che alcuni elementi, come l'arma giocattolo, sono delle costanti nelle storie di questi ragazzi, o spesso bambini, che utilizzano la violenza contro un insegnante, o un adulto in generale”.
Comprendere le ragioni, oppure le cause, non è possibile, ma Lippi evidenzia almeno un paio di elementi su cui vale la pena di riflettere. “Gli adulti - e tra questi gli insegnanti hanno perso autorità. Questo non vuol dire che il professore debba bacchettare i ragazzi, perché anzi sappiamo che empatia e comprensione funzionano molto meglio. Il problema è che il mondo adulto ha perso di concretezza: i ragazzi guardano gli adulti senza capire se questi abbiano davvero in mano la bussola e con ciò respirano incertezza”.
Professoressa accoltellata, la violenza a scuola e l’arte di non porsi domande
di Domenico Barrilà. Psicoterapeuta adleriano. Pubblicato nel blog dell'autore il 1° giugno 2023. Sintesi di Alessandro Bruni
Ci risiamo. Un ragazzo compie un gesto inconsulto, accoltellando la propria docente, rea di avergli inflitto alcune note, e ritorna la psico-sociologia dei ragazzi fuori controllo. Aumenta il bullismo, ci vuole lo psicologo a scuola, dice il ministro. Nessuna domanda sulla provenienza di tale comportamento, che non è la scuola.
Nelle scorse settimane, all’università di Chieti uno studente si era suicidato per la vergogna di avere mentito sul numero di esami effettivamente sostenuti. Anche in questo caso, un singolo caso, è partita un’indebita generalizzazione, con tanto di riflessione sui malesseri di un’intera generazione. La risposta è ancora lo psicologo all’università. La scuola non possiede la materia prima, è un importatore puro, nelle sue aule finiscono piante coltivate altrove, nella famiglia e nella società, che non sono astrazioni bensì luoghi precisi, esigenti, dove l’efficienza, la prestazione, il risultato sono divinità pagane indiscusse.
In questi luoghi, prima il bambino e poi il ragazzo ricevono stimoli spesso incompatibili con la salvaguardia della loro autostima, anzi fatti apposta per incrementarne i naturali sentimenti di inadeguatezza, rendendoli veri e propri complessi, gravami che minano in profondità e in modo permanente le sicurezze necessarie per affrontare l’esistenza. Le richieste che provengono, in modo implicito ed esplicito, da questi luoghi, alimentano un malessere cui è difficile sfuggire, una condizione insufflata a pressione nelle aule scolastiche, dove chi le abita è chiamato ad ammortizzare eccessi che talvolta esplodono suscitando un clamore che serve a riempire le pagine dei giornali seguito regolarmente dall’oblio, in assenza totale di apprendimenti.
Poi torna il silenzio, anzi il rumore della velocità. Fino alla prossima intemperanza, quando io scriverò un articolo, tanti altri scriveranno un articolo, così, per riempire il vuoto o per inventarsi un colpevole, che spesso è la vera vittima.
Il collasso educativo di scuola e famiglia
di Umberto Galimberti. Pubblicato in Alzogliocchiversoilcielo e in La Stampa del 31 maggio 2023. Sintesi di Alessandro Bruni.
I giovani oggi stanno male e le ragioni vanno cercate nel collasso educativo della famiglia e della scuola, avvenuto con il progressivo passaggio dalla società della disciplina che si regolava sul ciò che era permesso e ciò che era proibito, alla società dell'efficienza e della performance spinta, spesso misurata dal numero dei like e dei follower a cui viene affidata la propria identità, spesso accompagnata da un senso di insufficienza per ciò che si vorrebbe essere e non si riesce ad essere a partire dalle attese altrui, dalle quali ciascuno misura il valore di se stesso.
L'identità, infatti, non la possediamo per il fatto che siamo nati, ma è un dono sociale, è il risultato del riconoscimento o del misconoscimento che riceviamo dagli altri.
La famiglia oggi è molto carente in termini educativi. I genitori parlano poco con i figli, soprattutto in tenera età, e in compenso li riempiono di regali che stanno al posto di tutte le parole mancate. Inutile poi lamentarsi se, in età adolescenziale, i ragazzi non desiderano più niente e sono indifferenti a tutto. È infatti diffusa una concezione della libertà intesa solo come revocabilità di tutte le scelte.
Anche la scuola istruisce quando riesce, ma non educa. L'istruzione è una trasmissione di contenuti culturali e scientifici da chi li possiede (gli insegnanti) e chi non li possiede (gli studenti). L'educazione consiste nel prenderei cura della condizione emotiva degli studenti. Oggi non è più vero che tutti i ragazzi avvertono la differenza tra parlare male di un professore, (cosa che abbiamo fatto tutti) o aggredirlo fisicamente (oggi ci provano anche i genitori), tra corteggiare una ragazza o stuprarla. E non sto esagerando a giudicare dalle risposte che i ragazzi che compiono queste azioni danno ai magistrati che li interrogano. Sono risposte disarmanti: «Ma cosa abbiamo fatto di strano?», «Volevamo solo divertirci». Quindi non sanno distinguere più il bene dal male, ciò che è grave da ciò che grave non è. Cosa fa la scuola con i bulli? Li sospende. Malissimo. Deve tenerli a scuola il doppio del tempo e aiutarli a guadagnare quella risonanza emotiva dei loro comportamenti, senza la quale questi ragazzi diventeranno soggetti pericolosi.
I giovani dunque stanno male perché il futuro non è prevedibile non retroagisce come motivazione. "Perché devo studiare? Perché devo darmi da fare? E al limite perché devo stare al mondo". Se questo è lo scenario, allora è urgente che scuola e famiglia incomincino a prendere in seria considerazione la loro capacità di cura, assistenza, aiuto.
Adolescenza e identità nell'era dei social media
di Rosella De Leonibus. Psicologa. Pubblicato in Rocca e in Alzogliocchiversoilcielo del 1° maggio 2023. Sintesi di Alessandro Bruni.
Qual è uno degli elementi più importanti per la nostra psiche? Di certo è l’identità, quel costrutto in base al quale posso affermare “sono io!”. L’identità non è innata, si genera nella interazione con la figura materna nei primi mesi di vita, attraverso l’attivazione della funzione di specchio rispetto alle espressioni del volto materno.
Passo passo si apprende la possibilità di tollerare la separazione, e si arriva alla percezione di sé come un essere ancora dipendente, ma separato. L’identità, quindi, nessuno la costruisce da solo. Si forma nella interazione bambino/genitori, è il frutto di una alterità che accoglie. Le percezioni che i genitori hanno del bambino sono gli elementi costitutivi della sua identità. La relazione di attaccamento è il tramite per cui il sé si rispecchia negli atteggiamenti genitoriali. “Io mi vedo come tu mi vedi”, sintetizzava il grande John Bowlby. L’identità, quindi, è una costruzione che ha gli altri come protagonisti.
Ma oggi, nell’era dei new media, chi siamo? La nostra identità oggi è caratterizzata da un certo spaesamento, dalla precarietà, da una quota di nomadismo, da sconfinamenti… E’ ormai improponibile una concezione dell’identità fissa, stabile e immutabile. C’è molteplicità nelle appartenenze, e le traiettorie esistenziali frammentate, le istanze psico-sociali contrastanti, fanno di ciascuno un essere in divenire, mai concluso, mai definitivo, peculiare e irripetibile.
Accanto a tutto ciò, la normale scala evolutiva delle culture umane sta subendo una straordinaria accelerazione, e l’equilibrio tra componenti culturali e componenti biologiche sta cambiando, rispetto a quello conosciuto finora. I social network rispecchiano tutta la complessità del sistema sociale. Gestiscono relazioni, informazioni, l’attività delle persone, l’immaginario, i riferimenti culturali, i valori, gli affetti, le aspettative sul futuro. Determinano le scelte, l’immagine di noi stessi nel mondo, i desideri, gli equilibri esistenziali.
Disforia di genere nell'adolescenza. Un problema reale irrisolto
di Matteo Cresti e Elena Nave. Pubblicato in Il punto del 30 maggio 2023. Sintesi di Alessandro Bruni.
Disforia di genere e bloccanti puberali: sono già molti anni che si parla della possibilità di utilizzare trattamenti farmacologici per fermare la pubertà nelle persone che presentano disforia di genere. L’idea alla base di questo trattamento è la costatazione che i cambiamenti che il corpo subisce durante la pubertà producano un aumento del dolore psicologico che i minori d’età con incongruenza di genere provano.
La letteratura psicologica mostra come la sofferenza sia altissima in questo periodo: cresce il rischio suicidario e di atti di autolesionismo. Nasce dunque l'idea di utilizzare farmaci per sospendere la pubertà evitando i cambiamenti fisici che questa comporta. Ciò con il vantaggio di dare del tempo ulteriore agli adolescenti (e al personale sanitario) per valutare se e in che modo effettuare una transizione di genere.
E' possibile (almeno moralmente) cambiare il nostro corpo? Stravolgerlo al punto da fargli cambiare i principali tratti sessuali?
All’interno della psicanalisi le opinioni sono diverse, una parte dei suoi esponenti ritiene sbagliato intervenire sul corpo e sul sesso. Se invece si ritiene che il corpo sia a nostra disposizione, non si può che vedere di buon occhio quando un individuo prende in mano le redini della propria vita e decide autonomamente su sé stesso.
Ma al di là delle singole posizioni, bisogna ricordarsi che dietro questi dibattiti ci sono ragazze e ragazzi che hanno un aumentato rischio suicidario, e se un trattamento sanitario può aiutarli a vivere meglio la loro esistenza, questo non deve essere ignorato. Anzi deve avere la priorità.
Sull'argomento si legga anche questo articolo
L'avvelenata: essere e crescere pirla con ironia
di Guia Soncini. Pubblicato in Linkiesta del 31 maggio 2023. Sintesi di Alessandro Bruni.
I genitori che dicono di imparare dai loro figli, che non sanno niente, stanno crescendo migliaia di pirla pronti a piagnucolare. Dalla cronaca abbiamo da una parte un sedicenne che accoltella una professoressa, dall’altra una undicenne che lascia un commento a Chiara Ferragni su Instagram.
Adulti perlopiù normodotati si aggirano per i social chiedendosi con aria dolente «cosa ci fa una undicenne su Instagram, non ci può stare, non è giusto che ci stia». Eppure le loro figlie avranno come minimo un OnlyFans su cui fanno vedere il contenuto delle mutande, senza che i genitori se ne siano mai accorti.
Il punto è che la domanda non è cosa ci faccia un’undicenne su Instagram: la domanda è cosa ci faccia tu, cinquantenne, su Instagram. Tu che ogni giorno ci racconti che dai tuoi figli impari ogni giorno, da quei figli che se videochiamano si molla tutto perché sennò poi la piccina si fa venire il deficit di accudimento.
L’età non è importante, giacché sappiamo tutti che ormai l’adolescenza è un ergastolo ostativo, una pena che non finisce mai, uno stato anagrafico che copre anche la senilità.
L’altro giorno, in un’intervista alla Stampa, Paolo Crepet ha detto che «i genitori di oggi rinunciano a educare i propri figli non perché vanno in miniera, ma a giocare a padel». Ha detto anche: «I disturbi mentali sono comunicazione: se parlo di depressione, allora avrò moltissimi depressi. […] Sentiamo in continuazione dire che gli studenti universitari sono stressati. Ma di cosa, vorrei sapere. Non ce la fanno più. Ma di che, di studiare? Quello devono fare, quello è il loro mestiere. Il problema è che molti gli danno pure retta. Così il rischio è di crescere migliaia di pirla, pronti ad andare a piagnucolare da schiere di psicoterapeuti che sono felici di avere un cliente in più».