di Giancarla Codrignani. Pubblicato nel blog dell'autrice il 21 giugno 2023.
Questo non è il “mio” governo. Ma deve impressionare anche quelli che l’hanno votato leggere la titolazione dei nuovi ministeri, a partire dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy , con quel made in Italy che fa a pugni con il pluriraccomandato nazionalismo linguistico (felicemente commentato da Altan: “Non posso fare il master, sono homeless” “Oh, shit”).
Ma il Ministero della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità è semplicemente orrendo.
La relativa ministra, senza portafoglio, Eugenia Roccella, conferma tranquilla il suo passato radicale e femminista, evidentemente un po’ fluido se è stato Berlusconi a portarla in Parlamento, dove impattò la, a suo modo radicale, nipote di Mubarack. Adesso non è certo la convertita che al ricordo di Pannella e della Faccio si fa il segno della croce, ma rappresenta una delle pedine migliori di questo governo, utile al gioco, coperto e scoperto, della premier Meloni vista e sentita nel comizio tenuto a Madrid per sostenere la destra di Vox: un’italiana che è donna, è madre, è cristiana. Perfino il papa che forse non approva, deve abbozzare.
Importano invece le competenze del Ministero: la “famiglia”, la “natalità” e, ultime, le “pari opportunità”. Deve, davvero, essere entrato in sonno anche il senso dei propri interessi se non c’è più attenzione per la politica, arte che, anche non esercitata, diventa potere nelle mani di chi se la aggiudica. Ditemi che è rimasto un po’ di intelligenza femminista a impedirle di far danni! Eppure nessun intellettuale, donna o uomo, ha denunciato un programma esplicitamente definito da quella dicitura. Le “pari opportunità” al terzo posto avvertono che le donne non contano: se è una constatazione si potrebbe accettare – nessuna femminista ha mai creduto, nemmeno se ne traeva beneficio, che le pari opportunità siano rivoluzionarie –; ma se le donne non stanno al primo posto in questa triade programmatica, di che parità parliamo?
La priorità de la famiglia (al singolare, ovvio) è ancor più preoccupante: viviamo un’epoca di transizione senza sapere verso quale approdo orientare qualunque previsione, una situazione ansiogena divenuta insidiosamente, dopo il covid e la guerra, inquietudine. Si diffonde, per evitare la rabbia, il bisogno di quella condizione calda, affettuosa, rassicurante che abita il luogo protetto degli affetti, appunto “la famiglia”. Quando le cose vanno bene. Ma non sempre vanno bene se, come struttura sociale, è Il luogo in cui viene commesso il numero più alto dei reati destinati a non essere denunciati. E, anche se non ci sono violenze (ma quante! e tragiche), non ci si vive bene.
I giovani che soffrono le stesse nevrosi degli adulti ma sono più vulnerabili, mostrano la loro insofferenza, la diffidenza, il distacco e, cresciuti, privilegiano rapporti non impegnativi, mentre non può “mettere su casa” chi desidera un futuro con figli ma non ha sicurezza lavorativa ed economica. L’uso incontrollato delle nuove tecnologie inaridisce le “relazioni” che, si sa, andrebbero coltivate: il femminismo d’antan aveva avvertito che la relazione è parola complessa: se non se ne è tenuta cura, rischia l’implosione dell’anaffettività; e la violenza esonda.
Contribuisce, nel bene e nel male, la scoperta della sessualità senza certezze “per natura”, che finalmente riconosce le proprie “differenze”, anche se la famiglia e la scuola quasi mai aiutano a rimuovere gli stereotipi. Comunque, c’è bisogno di “femminismo pensato” per ricollocare la condizione femminile nei nuovi paradigmi di un sistema bisognoso di trasformazione. E’ reale il pericolo che la “famiglia” torni ad essere l’ammortizzatore sociale a cui lo Stato affida la gestione di un privato ricomposto su ruoli che – nel 2023! – inducono le donne giovani a licenziarsi perché non ce la fanno a pagare la retta degli asili, mentre in Francia i servizi offrono anche la babysitter (ma in Francia si pagano le tasse che in Italia la premier chiama “pizzo di Stato”).
Se la famiglia è titolare di diritti e se la donna ha diritti condivisi, anche i bimbi sono titolari di una cittadinanza che, comunque siano nati, non possono esercitare da soli e con i loro “genitori” hanno diritto al benessere nella vita domestica. Così intesa la natalità è la cosa bellissima. Altrimenti diventa così priva di valore che le si chiede di crescere e moltiplicarsi per pagare le pensioni degli anziani, come se le veterofemministe non avessero molto ragionato sull’uomo e, soprattutto, sulla donna, in quanto “esseri desideranti”. Un figlio è un individuo in più nel mondo, ma lo si vuole perché lo si sceglie, in libertà.
Tematiche nuove rappresentano nodi di vecchie questioni legate a un corpo che sta insieme con l’anima. Sono argomenti che, senza riflessione problematica previa, affronteranno un tavolo legislativo da cui possono uscire norme restrittive dei diritti. Se il governo ha espresso sostegno alla democrazia, sui “temi sensibili”, quelli su cui il Parlamento usava ricorrere al voto di coscienza, potrà decidere condanne, discriminazioni, in nome della sua etica dei valori.
La posizione del governo Giorgia Meloni l’ha espressa più volte, attenta soprattutto a rafforzare il consenso senza seguire i vecchi movimenti reazionari. Basta leggere i siti alleati del Movimento per la vita (oggi presieduto da Marina Casini, figlia di Carlo, il parlamentare democristiano difensore strenuo dei diritti del concepito) e di Pro vita e famiglia con le loro condanne: l’aborto, ma anche il figlio usato come diritto, l’utero in affitto, la stepchild adoption, il rinnovo della legge Zan, le scuole che adottano il gender, la Carriera alias con allegati casi “detransitioners”, i pentiti di aver cambiato sesso, in nome della libertà educativa e della cultura delle famiglie dovuta dalle istituzioni. Fanno manifestazioni senza fare notizia.
Preoccupazioni per la 194? non credo: medici obiettori ovviamente conservati, garantisce Roccella “Non ho rinnegato proprio nulla. Anche allora l’aborto non era la nostra. massima aspirazione, ma un male necessario, per non essere schiacciate in un ruolo che chiudeva le donne in una gabbia di oppressione e subalternità”. Un’incognita potrà essere l’applicazione strumentale del “valore sociale della maternità”, ma non la 194, anche perché le giovani contano sulla RU486. Rispetto alla quale, anche se si ottenessero le autorizzazioni sulla pillola abortiva, la sua distribuzione e gratuità, non ci sarebbe risposta unanime da parte delle interessate a un interrogativo problematico; “libera” davvero la donna dalle ansie, o favorisce l’irresponsabilità dell’uomo? se manca la qualità del rapporto e il rispetto del consenso, la donna potrebbe “subire” più di prima in una sorte di privatizzazione incontrollata.
Il gioco si è fatto pesante sulla gestazione per altri, che, nonostante lo si ripeta, non è l’utero in affitto. Vista la presenza di figli/e di due babbi è semplicemente indecente che non vengano loro riconosciuti i diritti formali acquisiti dal loro esserci. Quanto alla gestante, non sarebbe un grave problema giuridico, se la norma vietasse, come per la donazione di organi, il “commercio” e prestasse attenzione a colei che è pur sempre una madre che ha consentito a una coppia in difficoltà – anche quando la coppia è maschile – di creare una famiglia.
La maggioranza che ha ricevuto il mandato – non dagli elettori, ma da chi non è andato a votare e oggi non è rappresentato/a – ha fretta di piantare paletti ed esorcizza la Gpa come reato universale, espressione giuridicamente ridicola che serve a denunciare il cittadino italiano lgbtq+ di reato con previsione di penalità da 3 mesi a 2 anni e multe fino a 600.000 euro: i bambini di genitori che hanno commesso “il reato” all’estero potrebbero subire la vista dell’arresto dei genitori.
La questione va posta, ma lo sconquasso è pura propaganda: la materia riguarda poche decine di casi e se si arriverà a votare con questa maggioranza, la società perderà l’occasione di fare cultura. Peccato: è la prima volta che due uomini desiderano un figlio con la consapevolezza corporea della “voglia di partorire” (e contraddire definitivamente Freud). Il dna dimostra la paternità, ma l’amore di coppia – si dice – ha indotto due partner a partecipare al processo riproduttivo con lo sperma di entrambi. Nella paternità etero il massimo dell’emozione fisica del padre è assistere in sala parto.
Le donne sono intrigate dal concetto di potere: certamente la riproduzione è il potere più grande e, secondo Aristotele la donna è il contenitore del potere vitale maschile. Questo nuovo sentire maschile dimostra che, se il desiderio di un figlio è carnale, l’uomo deve “comunque” ricorrere a una donna. Mi sembra che, non potendo una donna conoscere il “sentire” di un corpo maschile, sarebbe interessante riprendere il confronto su nuove, perfino strane questioni.
Invece le provocazioni governative obbligheranno le donne a difendere solo i loro interessi: si faranno manifestazioni, me#too e nudm scenderanno in piazza e forse incontreranno una piazza molto cambiata. A Torino Eugenia Roccella, contestata da un gruppo di radicali d’oggi, ha dovuto ascoltare il documento di contestazione e ha reagito “Vedo che non volete dialogare, ma solo fare proclami. E visto che avevate preparato il documento da leggere, contavate sul fatto che ve lo avrei fatto leggere…. Ho iniziato così la mia militanza politica, ricordo bene quando venivo trascinata via di peso durante manifestazioni non violente, non voglio che accada qui adesso”. Rovesciando le carte, si è presa l’ultima parola.
Concludendo: se è necessario fare politica per evitare guai peggiori, è anche tempo di riaprire il mercato femminista delle idee.