di Domenico Barrilà. Psicoterapeuta adleriano. Pubblicato nel blog dell'autore il 23 giugno 2023.
Quando la mia attuale professione era appena agli inizi, una donna mi chiese di accompagnarla nel percorso che avrebbe dovuto portarla all’aborto. Mi era chiaro che i miei margini di manovra fossero quasi nulli. Il mio compito prevedeva di fare emergere la vera volontà di quella donna, che aveva già due figli ma sentiva di non amare più il marito. Tuttavia, la vera volontà di una persona non la si conosce mai, soprattutto quando anche un piccolo passo può condurre verso strade senza ritorno.
La vidi per alcune settimane, l’ascoltai in silenzio. Poi ci salutammo.
Sette mesi dopo sul mio telefono fisso giunse una telefonata. Era lei, mi invitava al battesimo della sua bambina. “La ringrazio, perché in nessuno degli istanti passati insieme mi sono sentita strattonata, orientata. Sapere che non ci sarebbe stato nessuno a cui dare la responsabilità, mi ha posto di fronte alla mia bambina, senza che potessi nascondermi”.
Non ci siamo più sentiti dopo quella la cerimonia, probabilmente quella bambina è diventata madre.
Trenta anni dopo, è una domenica mattina. Una ragazzina mi chiama, è agitata. “Scusi, lo so che oggi lei non lavora, ma sono incinta, non posso dirlo ai miei genitori, avrei bisogno di vederla subito insieme al mio ragazzo”.
Un’ora dopo li sto aspettando presso un bar pasticceria, facciamo colazione insieme. Mi raccontano, lei soprattutto, che vorrebbero tenere il bambino, poi mi chiedono cosa penso della loro scelta, rispondo che non sono in grado di dirlo, li conosco da 5 minuti, ma che vorrei fosse “la loro scelta”.
Nei giorni successivi lei non smette di cercarmi, è preoccupata perché la sua famiglia le chiede insistentemente di interrompere la gravidanza. Me lo confermano i genitori, che vedo su richiesta della ragazza. Sono separati e non sono tanto propensi a infliggersi altri grattacapi. Li invito a valutare anche altre conseguenze, che potrebbero toccare la figlia, se costretta a scegliere una soluzione che rifiuta. Ma la sorpresa, amarissima, arriva presto. Il fidanzato si dissocia e la lascia, dopo averla coperta di insulti, un voltafaccia dolorosissima, ma molto maschile. I genitori di lui gli tengono bordone. Non provo alcuna meraviglia, dopo tanti anni in cui vedo franare uomini, adulti e ragazzi, la loro immaturità non mi stupisce più.
A questo punto la ragazza è completamente sola. Mi invia una foto dal lettino dell’ospedale, stanno per addormentarla, prima di portarle via la sua creatura. Nei mesi successivi sarà una lenta risalita, ma la ferita non si rimarginerà più. Mi telefona, mi racconta attraverso scambi di sms, talvolta la sento schiacciata da cose più grandi di lei. Tutti coloro che le avevano lasciato una sola strada, obbligata, si sono ritirati, soddisfatti del risultato.
“In questi giorni mio figlio avrebbe compiuto un anno”, mi aveva scritto tempo fa, corredando le parole con una foto del suo viso in lacrime.
Ora siamo contenti, dopo un anno di fidanzamento, con un bravissimo ragazzo, che mi aveva fatto conoscere nei mesi scorsi, stanno per andare a vivere insieme, ma il resto non passa, è radicato in profondità.
Due casi assai diversi, quelli raccontati, ma accomunati da una certezza. Nessuno dovrebbe mai decidere per conto di altri su materie così personali, così fondamentali, così esistenziali, ma il tema della maternità surrogata mostra oggi quanto siamo lontani da questo obiettivo.
Quando la vita diventa ideologia, teatro, esibizione, soprattutto da parte di politici e di magistrati, che ne stanno semplicemente violando i diritti.
Quando non ci si riesce a domandare la ragione per la quale verso la fine dell’Ottocento venti milioni di italiani generavano ogni anno oltre un milione di bambini e oggi, che sono sessanta milioni, ne generano meno di quattrocento mila, ma si impasta l’argomento cercando di assorbirlo nelle proprie convinzioni, magari dando la colpa a chi i figli li vorrebbe e non può averli allo stesso modo in cui si incolpano agli omosessuali della crisi della famiglia.
Quando si vuole decidere a tutti i costi da che parte deve passare la vita per raggiungerci, magari basandosi su ingenue affermazioni risalenti a migliaia di anni fa, senza porsi uno straccio di dubbio su cosa significhi per tante persone il desiderio di essere genitori, e rifugiandosi dietro la barbarie e l’aridità di frasi fatte, “essere genitori non è un diritto”.
Quando non si capisce quanto possa essere struggente non potere diventare genitore, soprattutto se c’è un’altra via che permette di rimediare.
Quando, insomma, la vita altrui viene messa in balia di chi vuole disporne perché possiede una qualche forma di potere, piccolo o grande, e pensa più alle proprie ossessioni che alle ansie altrui, dimenticando che la vita va invece riconosciuta, favorita e, quando se ne è capaci, accompagnata con rispetto, evitando di mortificare chi la cerca come può, non si stanno facendo cose diverse di quelle viste in passato su vasta scala. Nessuno dovrebbe toccare la vita, se non per migliorarla.
Ciò che non si può fare con la vita, infine, è il mercato. Deve passare da sinceri e generosi atti di altruismo, nel caso della maternità surrogata, in cui chi mette a disposizione il proprio corpo, lo faccia perché mosso da un’adesione convinta e solidale al desiderio di chi le chiede aiuto.
Ecco, uno Stato che ascolta tutti i propri cittadini, rimuove ostacoli, si batte per avvicinare quanto più possibile l’esercizio di un legittimo desiderio a un percorso che non preveda giudizi, punizioni, dispetti, torsioni verso un passato remoto evocato per compiacere pericolose frazioni integraliste della società. Favorire un percorso trasparente, questo si nell’interesse del bambino, che deve essere messo in condizione di ricostruire con esattezza la filiera della propria origine, quindi sottratto per quanto possibile alla mortificante lotteria di inseminatori anonimi, prestatrici professioniste altrettanto anonime, ricordando però che dove questo non è stato possibile, è rimasta comunque una vita capace di porsi domande. Una vita, che non ci sarebbe stata e che forse ne salverà molte altre.