di Marina Viola. Scrive e vive a Boston con amore, con dolore, con levità. Pubblicato nel blog dell'autrice il 23 maggio 2023.
È lo stesso dolorino di sempre e che adesso non mi spaventa. Mi viene tra il cuore e la spalla sinistra. Tempo fa, ero convinta che si trattasse di un infarto. Mi coricavo sul letto e mi misuravo la pressione incessantemente, fino a quando dalla paura si alzava a livelli compromettenti. Poi prendevo un calmante e mi passava tutto. Adesso invece che prendo un SSRI con il caffè della mattina, il dolorino rimane tale e invece di trasformarsi in un attacco di panico, come allora, ho imparato a conviverci.
Lo chiamo il morso dell’ansia.
Ci convivo ormai da cinque giorni, da quando cioè io e le mie sorelle abbiamo accettato un’offerta sulla casa della nostra infanzia. In realtà era sul mercato da mesi, il tempo giusto per rimandare la desolazione di non averla più. Per decidere se accettare o meno, abbiamo fatto una videochiamata insieme. Erano molti mesi che non ci incontravamo faccia a faccia (per modo di dire) tutte e quattro, e devo ammettere che ero partita abbastanza fiduciosa sul fatto che saremmo riuscite a parlarne tranquillamente. Ingenuamente, riconosco, dato che il motivo dell’incontro era di per sé gonfio di dolore, di paura e di tensione. Infatti (e parlo per me, poi le sorelle avranno il loro modo di valutare), è stata una conversazione che definirei abbastanza complessa e infelice. Sono rispuntate le solite discussioni del passato, si sono concretizzate davanti a miei occhi quelle vecchie dinamiche che non riusciamo ancora a scrollarci di dosso.
Quando ci si è nel mezzo, sembra che sia una modalità unica della nostra famiglia, ma so che è molto comune, risultato di una perdita così astronomica come quella che abbiamo affrontato noi quattro. Si litiga tra fratelli e sorelle, non c’è niente da fare. Capita e poi come sempre, passa. Una volta pulite le macerie, verranno dimenticate, e si ritornerà a una convivenza normale.
Macerie. La morte di mia madre non ha portato soltanto il dolore della perdita, che non smette di finire. Ha portato anche a molte considerazioni pratiche da gestire che portano con sé altrettanto dolore e dubbi su come meglio affrontare. Si accumulano tutte sulla montagna di frantumi provocati dalla morte stessa.
Sono altrettanto pesanti, puzzolenti, polverose, difficili da gestire. Ci si trova di tutto, nel polverone: i progetti spezzati, l'eternità del non ritorno, della solitudine, ma anche delle spese di condominio, delle bollette da pagare, della furia che accompagna la desolazione di vendere la casa.
Adesso che abbiamo accettato l’offerta, ci troveremo anche le pentole della mamma, le piastrelle del bagno, le lenzuola, gli armadi. Adesso nel burrone ci dobbiamo buttare quel che resta di quella vita là, che è terminata quella sera del trenta dicembre 2021. Ha sciolto la nostra normalità e ha creato sotto di noi un buco nero, che si sta risucchiando tutto quanto, anche il nostro rapporto, se non stiamo un po’ attente.
È da lì che dobbiamo ricominciare. Quando riusciremo a ripulire tutto, a mettere tutto in un sacchetto dei ricordi, allora troveremo anche la strada da seguire. Insieme e anche individualmente. Ci risentiremo finalmente parti di un puzzle che è la nostra famiglia, o quel che ne rimane.
Vendere la casa, cosa che i nostri genitori sapevano sarebbe successa, significa anche fare nostra l’idea che non abbiamo più bisogno di rannicchiarci nella stessa tana, perché nel frattempo ce ne siamo costruite delle nuove, con le nostre famiglie, i nostri compagni. Ha senso lasciarla andare. Ha senso anche scontrarci prima di incontrarci, perché siamo diverse da quello che eravamo, ma non sappiamo ancora come.
E come sempre, scrivendo mi schiarisco le idee e il morso dell’ansia allenta la sua presa A parte la presenza di Luca nel mio studio, e della canzone che ascolta ormai dal 1953, mi sento già meglio.