di Gabriele Nissim, presidente di Fondazione Gariwo. Pubblicato in Gariwo.net il 28 luglio 2023.
C’è stata fino ad ora scarsa attenzione sul valore etico del grande movimento di donne e di uomini che da oltre ventisette settimane si mobilita il sabato sera nelle principali città di Israele per chiedere al governo Netanyahu di bloccare l’iter legislativo che vorrebbe ridimensionare le prerogative della Corte Suprema.
In Israele, dove non esiste una costituzione di riferimento a cui il processo legislativo dovrebbe adeguarsi, come accade in Italia o negli Stati Uniti, la Corte Suprema, con quella che viene definita la dottrina della “ragionevolezza”, ha il diritto di rivedere ed invertire le decisioni politiche ritenute sconsiderate e non eticamente giustificate.
Se questo meccanismo venisse eliminato, si potrebbe aprire una voragine che cambierebbe radicalmente la natura dello Stato ebraico, secondo la volontà dei partiti di estrema destra che oggi sono al potere.
La maggioranza potrebbe avere il via libera per qualsiasi tipo di legge e di decisione. Potrebbe imporre l’impunità per i politici corrotti - come è accaduto per Ariyeh Deri, il leader del partito ultra-ortodosso Shas condannato per evasione fiscale e già finito tre volte in prigione -, per non parlare della situazione precaria dello stesso primo ministro, ora sotto processo; potrebbe assecondare le pretese dei religiosi che pretendono che venga loro garantita l'esenzione dal servizio militare e che nelle scuole venga applicato un piano di studi che escluda l’insegnamento della matematica, delle scienze e dell’inglese. Potrebbe imporre un restringimento dei diritti lgbtq+ e degli stessi diritti delle donne.
Potrebbe portare a compimento la creazione di uno Stato mono-etnico che metterebbe in secondo piano i diritti delle minoranze arabe, cristiane e druse all’interno di Israele.
Come osserva Thomas Friedman sul New York Times, potrebbe essere sancita l’occupazione permanente della Cisgiordania con l’annessione di tutti i territori definiti come israeliani per diritto storico e naturale. Quei territori, per la destra, non verrebbero più considerati "occupati" in attesa di un accordo con il mondo palestinese, ma territori "liberati" e quindi illegittimamente rivendicati dai palestinesi. Così non soltanto si creerebbero le condizioni per uno Stato di apartheid ma, come nota Friedman, Israele perderebbe la protezione internazionale degli Stati Uniti nelle Nazioni Unite e nella corte dell’Aia, dove gli americani hanno sempre posto il veto di fronte alle mozioni di condanna nei suoi confronti. Fino ad ora c’era un tacito accordo secondo cui Israele, con condizioni favorevoli, avrebbe rinunciato ai territori per uno Stato palestinese e di conseguenza gli americani si si sarebbero fatti garanti dello Stato ebraico. Invece, con una annessione dichiarata per l'amministrazione americana non sarebbe più possibile giustificare l’occupazione.
Quello che viene definito un tentativo di colpo di Stato giudiziario potrebbe dunque aprire tutte queste possibilità, venendo a mancare il contro-potere della Corte Suprema. In Europa stiamo conoscendo situazioni simili in Polonia e in Ungheria dove vengono approvate leggi che mettono in discussione lo stato di diritto. C’è però una differenza. La comunità europea ha gli strumenti politici ed economici per condizionare gli Stati che cercano di creare i meccanismi che possono portare ad una “democrazia illiberale”. Invece in Israele, in questo momento, solo la magistratura può adempiere a questo compito.
Ecco dunque qual è la posta in gioco in Israele. Questo ha portato lo storico Yuval Noah Harari a ritenere che esistano due modalità di colpo di stato. Quella più nota ed evidente e "dunque facile da individuare” si realizza con un colpo militare, come è accaduto in Cile con Pinochet, che mette in discussione un governo legittimo e democratico. Quella più sofisticata si realizza con un colpo di stato dall’alto.
“A prima vista, tutto sembra normale. Non ci sono carri armati per le strade e nessun generale con una uniforme cascante con medaglie interrompe le trasmissioni televisive. Il colpo di Stato avviene a porte chiuse, con l’approvazione di leggi e la firma di decreti che rimuovono tutte le restrizioni sul governo e smantellano i controlli e i contrappesi. Naturalmente il governo non dichiara che sta effettuando un colpo di stato. Afferma solo che sta realizzando alcune riforme necessarie per 'il bene del popolo'”.
In una situazione simile ci si potrebbe comunque immaginare una esasperazione degli animi, degli scontri sanguinosi nelle piazze, una violenza crescente nella società. Pensiamo per esempio al nostro Sessantotto, quando la protesta portò a metodi di lotta violenti nelle piazze, quando i leader della contestazione giustificarono gli attacchi alle forze dell’ordine, e nacquero i primi gruppi di lotta armata. Oppure guardiamo alle recenti modalità delle manifestazioni in Francia, dai gilet jaune alle proteste sindacali contro la riforma delle pensioni, fino alle recenti rivolte di Parigi in seguito all’assassinio da parte di un poliziotto del diciasettenne Nahel. Saccheggi, lanci di sassi e di molotov, assalti ai negozi e ai poliziotti sono stati la norma.
Tutto questo non è accaduto in Israele, dove si sono verificate due cose straordinarie. Da un lato c’è stato il movimento di massa più diffuso e capillare che abbiamo registrato in questi tempi contro i tentativi di instaurazione di una democrazia illiberale. Non abbiamo visto una forza simile della società civile in America di fronte al tentato “golpe” di Trump e all’assalto a Capitol Hill. E nemmeno in Polonia e nell’Ungheria di Orban, dove le forze democratiche non sono riuscite a dare al mondo un simile segnale di resistenza morale.
Ma ciò che più stupisce e che dovrebbe diventare oggetto di una attenta riflessione è il carattere pacifico, creativo e festoso delle manifestazioni che hanno coinvolto in ogni luogo del paese centinaia di migliaia di persone. In piazza, assieme ai soldati della riserva, ai piloti che hanno dichiarato di non sentirsi più vincolati agli ordini militari nel caso della delegittimazione della Corte Suprema, alle donne e ai movimenti lgtbq+, c’era la grande filarmonica di Israele. E i poliziotti che controllavano il movimento si sentivano solidali con i manifestanti. Un caso clamoroso è stato il comportamento di Ami Eshed, il capo della polizia di Tel Aviv che mercoledì scorso è stato estromesso per avere dichiarato pubblicamente che mai avrebbe permesso una repressione poliziesca delle manifestazioni.
Non si capirebbe tutto questo movimento se non si ragionasse su storie del passato, come la filosofia della preservazione morale della persona di Vaclav Havel e di Charta 77 durante la resistenza al comunismo, se non ci si ricordasse dell’appello alla non violenza di Martin Luther King nella lotta contro la segregazione razziale, come della filosofia politica di Gandhi, che fece della resistenza pacifica la sua bandiera nei confronti della dominazione coloniale inglese.
I dirigenti del movimento di protesta che meriterebbero di essere riconosciuti internazionalmente sono stati capaci di trasmettere nelle piazze una profonda anima non violenta e democratica.
Domenica scorsa il governo ha tenuto una audizione delle forze dell’ordine di tre ore e mezzo con l’intento di criticare il comportamento morbido nei confronti dei manifestanti. Si è allora alzato il commissario di polizia Kobi Shabtai con un intervento che ha fatto infuriare i ministri. Ha dichiarato pubblicamente che si trattava di una richiesta del tutto ridicola perché per ben 27 settimane consecutive nessun agente è finito in ospedale a causa di attacchi durante le proteste.
Non si possono fare previsioni per il futuro. Netanyahu vorrebbe fare approvare il suo piano restauratore entro il 30 luglio e tutti si domandano quale sarà la reazione della Corte suprema e a chi obbedirà il paese. Ad un governo “fuori legge”, o a una Corte che difende la legalità contro il governo.
Una cosa è certa. Il movimento di protesta lascia un grande segno morale nella storia di Israele. Se i dirigenti palestinesi facessero propria la stessa modalità della protesta pacifica e non violenta allora ci potrebbe essere una svolta epocale per la pace in Medio Oriente. Ma forse questo è solo un sogno.