di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
In fatto di tutela del lavoro, un tema oggi all’ordine del giorno del dibattito politico riguarda il salario minimo, come strumento per garantire che la retribuzione dei lavoratori non possa essere inferiore ad un certo valore, che, secondo le proposte di legge presentate, dovrebbe coincidere con 9 euro l’ora.
Questo intervento legislativo sul tema del livello minimo del salario, tradizionalmente ambito della contrattazione collettiva, viene motivato con la condizione retributiva media dei lavoratori italiani che risulta tra le più basse in Europa, al punto da aver favorito la presenza, nel nostro mercato del lavoro, della nuova figura del lavoro povero.
Sul salario minimo si è determinata una particolare convergenza dell’opposizione politica (Pd. M5S, Terzo Polo) e, in sede parlamentare, si è manifestata una prima approvazione in Commissione lavoro della Camera, anche se la maggioranza ha, poco tempo dopo, l’ha bocciata. Mentre nel dibattito politico e sindacale si sono manifestate posizioni differenti, che ruotano attorno al problema del rapporto tra intervento legislativo e contrattazione collettiva in materia di salario, nei fatti, la scelta del salario minimo troverebbe una motivazione seria, avendo presente che nel mondo del lavoro italiano ben il 18% degli occupati, in particolare nei lavori precari e frazionati, percepisce meno di 9 euro l’ora.
Tuttavia, sappiamo fin d’ora che esso determinerà effetti piuttosto limitati sui livelli salariali complessivi, perché interviene dall’esterno, nel segmento minimo delle retribuzioni, e non si fa carico dei fattori strutturali, collegati alla produttività delle imprese e quindi ai livelli di innovazione del sistema produttivo e della qualità del fattore umano. Ciò che fa una certa impressione, è che nell’ampio dibattito che sta accompagnando la possibile introduzione di tale misura, non emerga l’evidente rapporto tra il declino dei livelli salariali italiani e il ruolo del sindacato.
Essendo il sottoscritto, da tempo, lontano dall’impegno sindacale, non voglio entrare nel merito delle diverse strategie attualmente seguite dalle Confederazioni sindacali, ma, in ogni caso, nell’attuale esperienza sindacale emerge una contraddizione che, se non positivamente superata, molto difficilmente le condizioni salariali dei lavoratori italiani potranno uscire dall’attuale inadeguatezza. Mi riferisco al rapporto tra la profondità ed estensione delle trasformazioni del lavoro, in tutti i suoi vari aspetti, e l’insufficiente livello di intervento della contrattazione collettiva, per regolarne l’evoluzione e tutelare la persona del lavoratore, retribuzione compresa.
Gli attuali cambiamenti del lavoro, qualitativamente tra i più rilevanti della storia, sotto la spinta della tecnologia (digitalizzazione, Intelligenza Artificiale) e dell’innovazione organizzativa (Smart working), settimana cortissima) determinano processi innovativi che vanno compresi e regolati non solo dal punto di vista dell’efficienza produttiva, ma soprattutto del rispetto e della valorizzazione del persona umana che lavora.
Tutto ciò sarà possibile solo con un ruolo protagonista del sindacato e dei lavoratori rappresentati, attraverso un uso strategicamente innovativo della contrattazione collettiva, che rimane lo strumento principe dell’azione sindacale, e che, per la sua flessibilità e per il coinvolgimento diretto dei protagonisti del lavoro, consente le soluzioni più efficaci e aderenti alla realtà, compresa la possibilità di migliorarle più facilmente rispetto alla rigidità e lontananza dell’intervento legislativo. Nell’azione sindacale attuale la contrattazione appare di rilevanza secondaria, rivolta al tradizionale rinnovo dei contratti, con attenzione prevalente agli aspetti redistributivi e con spazi ridotti nei risultati.
Lo stesso mancato rinnovo di circa la metà dei contratti in vigore, e la anomala proliferazione di contratti pirata, sono la dimostrazione pratica della ridotta rilevanza della contrazione sindacale, Il problema è che senza questo intervento contrattuale di tutela delle nuove condizioni di lavoro e dei livelli salariali, collegato all’evoluzione del sistema delle imprese, tutta l’economia perde lo stimolo all’innovazione derivante dal conflitto sociale regolato, e alla stessa politica manca un solido e realistico punto di riferimento per orientare efficacemente l’intervento legislativo.
Credo perciò che il sindacato possa e debba ritrovare un ruolo protagonista nell’economia e nella società affrontando i nuovi processi di innovazione tecnologica, organizzativa e formativa, indispensabili per raggiungere un livello di produttività del sistema che consenta sia una efficace tutela dei diritti che salari al livello delle necessità di vita personale e famigliare dei lavoratori.
Solo su questa base sarà anche possibile rendere più produttivi i confronti del sindacato con l’attuale governo che, per carenza di cultura del lavoro, rigidità ideologiche, e incapacità di andare oltre lo scontro con chi la pensa diversamente, non è in grado di offrire risposte adeguate ai notevoli e complessi problemi dei lavoratori. Non so se il salario minimo diventerà legge, ma in ogni caso esso può rendere evidente che altra è la strada di un efficace protagonismo sindacale. Purché sia effettivamente percorsa, e non solo ideologicamente evocata..