di Marina Viola. Pubblicato nel blog dell'autrice il 21 luglio 2023.
Organizzare un viaggio a casa nostra non è facile. Prima di tutto, i tre figli hanno idee diverse su come passare l’estate: Luca vorrebbe stare nel suo letto a guardare video di Sting; Sofia è a Chicago e comunque non ci caga e Emma, che ha solo 16 anni, pur di non stare con noi ha accettato due lavori estivi: uno durante il giorno e uno la sera. Poi ci sono i cani (due), il gatto (uno, ma stronzo) e una decina di pesciolini che comunque devono essere sfamati. È per questo che di solito stiamo nella nostra casetta di campagna e basta.
Quest’anno, invece, abbiamo deciso di rompere le barriere autistiche e portare Luca a Chicago in macchina, da sua sorella. Emma sta a Cambridge da sola, nella speranza che al nostro ritorno non sia già dipendente da droghe pesanti. Si occuperà di Margot, il gatto, e dei pesci. I cani invece stanno a Becket con Logan, una persona di genere non ben definito che per un’irrisoria somma (aggettivo ironico. Ndr) di 800 dollari, sta a casa nostra e si becca Fiona e Rosie.
Il viaggio in macchina da Becket a Chicago è lungo 1400 chilometri; quindi, abbiamo deciso di fare due tappe all’andata e tre al ritorno.
Il programma di venerdì era il seguente: aspettare Logan, che sarebbe arrivato verso le 10, spiegargli due cose, tipo che Fiona ha un’infezione a un’orecchia e deve prendere antibiotici e robe varie, e arrivare a Rochester, NY nel primo pomeriggio. La macchina era pronta, con valigia, due borse e una chitarra, il pieno di benzina e tre bottiglie d’acqua. Alle 11 abbiamo cominciato a mandare messaggini a Logan per chiedere quando sarebbe arrivato. Alle 11:10 abbiamo provato a chiamare: telefono spento. Alle 11 e un quarto ero convinta che si fosse sfracellato in macchina nel venire da noi. Non sarebbe la prima volta: anni fa, quando andammo in vacanza, la dogsitter venne investita da una macchina, venendo da noi. Non ricordo come trovammo una sostituta all’ultimo momento. Alle 11:45, avevo già annunciato: “Vabbè, dai, andate voi due e io sto a casa con i cani”. A mezzogiorno la pressione sanguigna era a livelli preoccupanti. A mezzogiorno e mezzo, ha chiamato Logan: “Mi cercavate? Ah, non avevo capito l’orario, sto arrivando. Voi andate pure”.
La vacanza, dunque inizia così: con il dubbio che Logan non si presenti, con la pressione alta, con i nervi a fior di pelle. Ma, dopo qualche chilometro, abbiamo cominciato a rilassarci. Luca era felice come una Pasqua, e ad ogni McDonalds urlava: “French fries! French fries!”, che gli abbiamo comprato quasi subito perché ci mancava pure che Shmoo si innervosisse.
L’autostrada attraversa paesaggi stupendi: colline verdi, qualche fattoria qua e là, le mucche al pascolo e i nomi dei paesi attorno, tutti italiani o europei. Abbiamo passato Siracusa, Verona, Corfù, Parma, addirittura un paese che si chiama Milano. Ora, è vero che questa è una nazione molto vasta, e che dopo un po’ si fa fatica a trovare nomi per tutti i paesini, ma chiamare Verona un paesino del cazzo nel mezzo delle fattorie dello stato di New York mi sembra azzardato. È anche vero che pur di sembrare europea, questa parte dell’America venderebbe la Statua della Libertà. Ma transit.
Dopo circa cinque ore di macchina, siamo finalmente arrivati a Rochester, la città che ha per anni ospitato la Kodak, che quando eravamo piccoli era una figata, ma che adesso quasi non esiste più. Per cui è una città decadente, imprigionata in un passato molto ricco che adesso è trasandato: ville enormi abbandonate, povertà, e ancora molto orgoglio. L’Airbnb che abbiamo affittato è una casetta su una strada alberata, molto carina. Costruita nei primi anni del Novecento, la casa è stata ristrutturata mantenendo le bellezze dell’epoca: infissi di legno, parquet scricchiolante, una sala da pranzo attaccata a quella della televisione. Spaziosa, tenuta bene, ma la mia sensazione è stata di una casa sola, senza nessuno che le facesse compagnia, e un po’ mi ha fatto tenerezza.
Per quanto riguarda la città, non siamo riusciti a vederla perché uno dei limiti del viaggiare con Luca è che non gli piace fare passeggiate, soprattutto dopo cinque ore di macchina. Inoltre, per andare a un ristorante, bisogna fare delle ricerche ben precise: il menù deve avere pasta, pizza, bistecche impanate e patatine fritte, altrimenti niente, non si va. Bisogna anche stare attenti che Shmoo non rubi il mangiare nel piatto delle persone accanto a lui e accettare il fatto che più di tanto non riesce a stare seduto, per cui bisogna rincorrerlo tra un tavolo e l'altro.
Luca si è subito adattato allo spazio nuovo, buttandosi nel letto di quella che per una notte sarebbe stata la sua camera, annunciando senza mezzi termini: “Shut the door. I want to be alone”. Perfetto, perché anche noi eravamo stanchi. Abbiamo ordinato un cinese mediocre, abbiamo comprato gli ingredienti per farci un Negroni, e poco dopo siamo andati a dormire.
Per un attimo mi è davvero sembrato che questo benedetto autismo che ci ha tenuti sempre con la testa bassa, si possa in qualche modo domare, conquistare. Sono andata a letto stanca, un po’ brilla, ma molto felice.