di Pasquale Giannino. Pubblicato in MicroMega, Il rasoio di Occam, il 9 marzo 2023.
L'articolo, qui riportato in sintesi dalla redazione di Madrugada blog, illustra un metodo fondato sulla teoria delle descrizioni di Russell per un approccio condivisibile al problema dell'esistenza di Dio.
La guerra tra fede e conoscenza dovrebbe essere finita da tempo. Le scoperte conseguite dal Seicento a oggi, con i metodi della scienza moderna, hanno tolto a molte fedi religiose il fondamento su cui si reggevano: la centralità della vicenda umana, nella storia grandiosa del cosmo. Rimane quella combattuta fra tantissime fedi in competizione tra loro. In verità, esse hanno qualcosa in comune: i sistemi di credenze che utilizzano risalgono ad antichi miti di religioni ormai estinte, opportunamente camuffati e adattati alle nuove esigenze dottrinali.
Se Dio è morto, le religioni organizzate sono vive e vegete. D’altra parte, ogni forma di potere ha bisogno di un fondamento ideologico che lo giustifichi, ed esse lo trovano nella propria dottrina. Ne risultano dei sistemi di credenze in lotta fra loro e, sovente, in palese contrasto con la conoscenza.
In questo saggio, illustro un metodo efficace – fondato sulla teoria delle descrizioni di Bertrand Russell – per formulare il problema dell’esistenza di Dio secondo un approccio condivisibile, che tenda a superare i contrasti dottrinali e non sia incompatibile con la conoscenza (B. Russell, Introduction to Mathematical Philosophy, Merchant Books 2014, cap. XVI).
Spiego il problema dell’esistenza di un ente; quello della verità di una proposizione, in cui esso compaia come soggetto e fornisco un criterio per affrontare correttamente i due problemi. Infine, mostro come applicare il metodo al problema dell’esistenza di un Dio sfrondato dagli attributi metafisici peculiari di ogni dottrina religiosa, i quali creano contrasti e divisioni, e possono favorire – ove il contesto lo permetta – manifestazioni di integralismo e violenza.
Concludendo, in definitiva, il problema vero rimane quello antico della causa prima. Si tratta di capire se il mondo che noi conosciamo abbia o no una causa prima, e di che natura essa sia. Le credenze e i miti che si sono diffusi intorno all’idea di Dio, nel corso dei millenni, non sono condivisibili. Molto probabilmente, sono tutti falsi.
La mia proposta consente di formulare il problema dell’esistenza di un Dio come origine delle leggi che regolano i fenomeni del mondo fisico e biologico, sfrondato dagli attributi metafisici divisivi delle dottrine religiose. È sufficiente ipotizzare che un tale Dio abbia fissato una volta per tutte le leggi fondamentali che governano l’evoluzione del cosmo e della vita, secondo le componenti del caso e della necessità, come ha ben illustrato Jacques Monod nel suo celebre saggio (J. Monod, Il caso e la necessità, tr. it. Mondadori, Milano 2017).
L’ipotesi che possa intervenire nelle vicende umane, invocato da un singolo individuo di una specie che ha appena duecentomila anni, comparsa dopo circa 13,8 miliardi di anni dal Big Bang su un pianeta piuttosto periferico della Via Lattea, una fra almeno 2000 miliardi di galassie stimate… ecco, tale ipotesi non è solo superflua: rivela una visione antropocentrica del mondo in netto contrasto con la conoscenza.
Il metodo che ho illustrato permette di superare tale contraddizione. Esso andrebbe divulgato anzitutto nelle scuole, non per sostituire un’educazione fondata sui valori della propria tradizione religiosa, ma per integrarla. Spesso, durante il percorso educativo, un ragazzo impara che i valori e i principi appresi dalla famiglia o dall’ambiente in cui viene educato siano la Verità.
Così, l’educazione rinuncia a quello che dovrebbe essere il suo fine più nobile: educare al rispetto degli altri. E può diventare un pericoloso strumento di incomprensione e intolleranza.
Già, perché quel ragazzo, crescendo, scoprirà che ci sono tanti suoi coetanei che hanno ricevuto un’educazione diversa dalla sua; che hanno appreso verità diverse da quella che lui ha assimilato dalla famiglia, dall’ambiente e dagli adulti che lo hanno formato.
Essi, magari, gli hanno trasmesso il valore della propria tradizione; gli hanno insegnato che la verità è inscindibilmente legata alla tradizione; e che bisogna difendere e rispettare la tradizione. Un’educazione siffatta è certamente vantaggiosa, per la comunità che la condivide. Ma quando il ragazzo dovrà confrontarsi con altri giovani che sono stati educati a delle verità in contrasto con la propria, il rischio che la sua educazione lo induca all’odio e alla violenza è concreto. Allora, ecco l’importanza di un’educazione superiore, fondata su un concetto molto chiaro: la condivisibilità.
La condivisione di una “verità” basata sulla tradizione funziona all’interno della comunità che la realizza. Non può funzionare nel confronto con altre verità fondate su tradizioni diverse. Si rende necessaria un’educazione che estenda la condivisibilità del suo contenuto ben oltre i limiti dei condizionamenti familiari e ambientali; che superi l’angusto e divisivo recinto della tradizione.
La condivisibilità dovrebbe essere il requisito basilare di qualunque strategia educativa. La storia umana è fatta di un progressivo superamento di tali recinti; di una progressiva estensione degli ambiti in cui si rende possibile la condivisione dei contenuti, con i quali si compie il processo educativo. È una strada che non piace a molti. Di certo, è invisa agli ultraconservatori. Ma la dobbiamo percorrere, se vogliamo affidare alle nuove generazioni un mondo più tollerante e meno aggressivo di questo, che tuttora fomenta odio e violenze in nome della religione.
sintesi di Alessandro Bruni
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