di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
L’8 settembre ricorrono 80 anni dall’armistizio dell’Italia nella 2^ guerra mondiale e Marco Patricelli esce in libreria con “Tagliare la corda. 9 settembre 1943. Storia di una fuga” (ed. Solferino pp. 280, euro 18). In quella drammatica estate del 1943 le notizie erano confuse e circolava la notizia che Mussolini fosse stato arrestato. Era sparito dalla circolazione e nella notte tra il 9 e il 10 settembre la famiglia reale si era precipitosamente imbarcata nel porto di Ortona (sotto Pescara fuggita da Roma), insieme a mezzo governo e gli alti ufficiali ai vertici delle tre armi, tutti a caccia di un passaggio su un qualsiasi peschereccio diretto verso la corvetta Baionetta che li avrebbe portati al rassicurante porto di Brindisi dove i tedeschi non c’erano.
Giorni convulsi in cui ora comandava Badoglio e dove era difficile orientarsi in quanto radio e bollettini raccontavano mezze verità che sono una forma di bugia. Di certo l’esercito italiano si stava rapidamente decomponendo e chi poteva si dava alla fuga, temendo di essere preso dai tedeschi e fatto prigioniero. Chi tornava a casa, chi barattava la divisa per un abito civile, chi cercava di nascondersi. Se lo Stato si squagliava e gli stessi generali tradivano il giuramento di fedeltà al re Vittorio Emanuele III, potevano ben farlo i semplici soldati.
Una cosa simile è avvenuta in Afghanistan due anni fa: il 27 agosto 2021 partiva l’ultimo aereo da Kabul, la cui vicenda è raccontata in modo magistrale dal nostro ambasciatore in Afghanistan e coordinatore della Nato Stefano Pontecorvo (“L’ultimo aereo da Kabul”, ed. Piemme, pag. 320, 18 euro), sul cui aereo c’era anche lui. Il Presidente della Repubblica Ghani era fuggito 2 settimane prima (in elicottero con una valigia piena di dollari) e tutto l’esercito si era squagliato, conoscendo la ferocia con cui i Talebani avrebbero trattato i collaborazionisti.
Negli ultimi 14 giorni, seguiti alla fuga di Ghani, collassarono tutte le Istituzioni afghane, esercito incluso, per cui i Talebani entreranno a Kabul senza sparare un colpo. Dall’aeroporto, ultimo avamposto americano/Nato, riescono a scappare 124mila persone in un caos indescrivibile. Gli altri (centinaia di migliaia rimarranno nelle mani dei talebani) e mezzo popolo si sentirà tradito per aver creduto che con l’aiuto degli Occidentali e soprattutto degli Americani ci sarebbe stato un altro Afghanistan. “L’epilogo della vicenda afgana (scrive Pontecorvo, convinto atlantista e fedele servitore della Nato) costituisce la tappa finale di una serie di altre disavventure finite presso a poco nello stesso modo, a partire dal Vietnam in poi, nel quale il filo conduttore è sempre lo stesso. La mancanza di una strategia condivisa dagli attori, la non conoscenza approfondita del contesto in cui si opera, il disinteresse per la cooperazione coi vicini, la sottovalutazione costante del nemico…”.
Queste vicende ci raccontano qualcosa di quello che potrebbe avvenire in Ucraina. Dopo 18 mesi di propaganda sull’esercito russo (scassato), sulla fine della Russia travolta dalle sanzioni e di Putin dai suoi abitanti, la Russia appare molto solida, come Putin e soprattutto emerge l’impossibilità dell’Ucraina di superare solo la prima delle tre linee di difesa approntate dai Russi. I famosi carri armati nulla possono su un terreno minato e con valli e cementificazioni. Tutte cose che i generali più avveduti avevano indicato, come ha sempre detto il capo di stato maggiore Usa Mark Milley (è impossibile vincere la Russia sul campo), e che i politici hanno usato per propri fini (allargare la Nato a Svezia e Finlandia,…), a costo di una mattanza incredibile (200mila morti, 120mila russi e 80mila ucraini e 300mila feriti). Poiché la Russia dispone di un milione e mezzo di soldati (3-4 volte l’Ucraina), tra un pò non ci saranno neppure più i soldati ucraini che evitano sempre più (come i russi) di andare in guerra corrompendo i reclutatori, ora tutti licenziati e sostituiti.
In Afghanistan l’errore maggiore fu quello di negoziare coi Talebani una data precisa (31.8.2021) del ritiro delle truppe Nato nell’accordo di Doha (febbraio 2020) firmato da Trump e poi confermato da Biden in aprile 2021. Accordi dai quali furono esclusi sia la Repubblica afgana che tutti gli altri paesi Nato (che erano contrari sui modi di uscita).
Gli Americani sono bravi a scendere rapidamente in guerra (più spesso usando altri come esercito), ma non altrettanto a negoziare. Questa volta, se non vogliamo che si ripeta la storia dello squagliamento dello Stato Ucraino, sarebbe opportuno che il negoziato non fosse fatto solo dagli Stati Uniti. Dietro la guerra ucraino-russa c’è in ballo la leadership del XXI secolo. La Cina vuole un nuovo ruolo e i Brics pure. Essa segnerà un nuovo mondo, più multipolare, con probabile ridimensionamento dell’Occidente che capirà che il suo modello di democrazia non può essere esportato –come dice Pontecorvo- “quando il paese ricevente ha altri sistemi di amministrazione e altra cultura”. L’Europa se, come temo non si sveglierà, sarà punita per un enorme peccato di omissione, avendo rinunciato al ruolo di “terzo” polo mondiale tra Usa e Cina (nell’interesse suo e del resto del mondo). La qual cosa ci riguarda perché saranno i suoi cittadini più deboli a subirne le conseguenze.