di Alessandro Bruni (e di Francesco Cosentino). Post scritto sulla base dell'articolo di Francesco Cosentino dal titolo “Ritorno del religioso e spiritualità cristiana” pubblicato in Orientamenti Pastorali e in Alzogliocchiversoilcielo. Un articolo di cui condivido i propositi, ma che hanno fatto nascere in me il bisogno non solo di sintesi, ma di estrapolazione degli aspetti che personalmente ritengo più significativi, non già sulla base di critica al testo originale, ma sulla necessità di fare una personale analisi laica di un bisogno umano che per me nasce dal basso più che scendere dall'alto. Ne è nato un post ibrido, nel senso che usando le parole di Cosentino ho forse finito per far dire a lui cose che volevo dire io, che può aver stravolto quanto l'autore originariamente voleva esprimere. D'altra parte le nostre differenze di fondo sono palesi: lui sacerdote cattolico ed io laico valdese. Per rispetto al senso e alla visione dell'autore si invitano i lettori a leggere il testo originale di Cosentino aprendo questo link.
Il ritorno alla religione, almeno come dato sociologico, smentisce il paradigma della secolarizzazione e attesta la complessità del fenomeno religioso, ma anche dei cambiamenti che attraversano la nostra epoca.
Le previsioni sull’irrilevanza delle fedi religiose nella sfera pubblica e politica, che avrebbero relegato il fenomeno solo nell’ambito privato, sono state ampiamente smentite; in questi ultimi decenni, infatti, le religioni sono tornate inaspettatamente alla ribalta, anche grazie a molteplici fattori come le rivolte islamiche in alcuni Paesi Arabi, il movimento di Solidarnosc in Polonia, il ruolo del cattolicesimo in alcuni conflitti dell’America Latina. Nonché il risveglio della “religione civile” e di un certo fondamentalismo operante negli Stati Uniti soprattutto in ambito protestante.
Anche nell’ambito personale, per i molteplici motivi di fondo già citati, il bisogno di spiritualità ha in qualche modo prodotto un ritorno del senso religioso. Certamente ci troviamo oggi in un clima nuovamente disponibile e aperto verso il fenomeno religioso, mentre si moltiplicano le esperienze spirituali di vario genere e si va componendo un vero e proprio mosaico delle fedi e delle religioni con il relativo risveglio spirituale contro l’irrilevanza e il grigiore dell’esistenza.
A un attento discernimento, che tenga conto della profonda crisi che il cristianesimo sta attraversando in Occidente e, al contempo, degli studi e delle riflessioni teologiche sul tema, non si può procedere con una lettura ingenua di un sacro inventato su misura, che propina «una spiritualità più flessibile, ariosa, slegata da qualsiasi riferimento a principi e norme».
Il ritorno del sacro, insomma, non significa solo la possibilità di una fede personale che diventi mappa di orientamento delle scelte, dei principi, dei valori e delle attività quotidiane della persona; né tantomeno significa il ritorno alla dimensione comunitaria, alla condivisione del cammino con gli altri e agli aspetti sociali e politici attraverso le pratiche della giustizia e della solidarietà. É di fatto qualcosa di più che rende vocativo l'agito del vivere.
Il ritorno della dimensione vocativa dell'uomo moderno si concretizza in modo alquanto ambivalente. Sembra infatti derivare dal disorientamento attuale, dalle insicurezze crescenti nelle nostre società consumiste, globalizzate e per nulla al riparo da fenomeni di violenza, dal disagio emergente nel clima postmoderno in cui viviamo che ha consegnato alla coscienza di ciascuno e alla sua storia quotidiana il compito faticoso di dover cercare significati e di orientarsi in mezzo a molteplici proposte di senso, scelte e valori.
Potrebbe sembrare che la via della spiritualità e il ritorno vocativo siano spesso dettati dal bisogno psicosomatico di alleggerire il peso della vita e, in tal senso, sarebbero «solo un sintomo dell’inquietudine dell’uomo contemporaneo». Questo è il motivo per cui nella odierna molteplice proposta vocativa di senso della vita vi ritroviamo mescolati elementi diversi di tipo psichico, emozionale, filosofico e spirituale, insieme a tecniche psicosomatiche e a elementi culturali del lontano Oriente.
L’esperienza religiosa in questo ultimi decenni sembra aver caratterizzato un bisogno di tranquillità psicosociale; è un’esperienza nella quale l’uomo, ma oserei dire tutta la società occidentale, vuole evitare che la routine e lo stress dell’esistenza possano in qualche modo interrompere il gusto della vita. Questo è un aspetto che noi dobbiamo assumere con una certa attenzione e anche con una positività, se letta come bisogno antropologico.
Da quanto detto fino ad ora, nelle nostre complesse società contemporanee resiste una certa religiosità esteriore e un bisogno di spiritualità nell’interpretazione della vita, nel modo di essere e di vivere le relazioni interpersonali e nelle scelte della quotidianità.
La spiritualità cristiana, dunque, lungi dall’essere un insieme di pratiche ascetiche fini a se stessa, ha la pretesa di trasformarci e di affidarci la missione di trasformare il mondo attorno a noi. Una spiritualità viva, incarnata, realmente visibile nella misura in cui vincendo gli egoismi personali assumiamo come criterio-guida della nostra vita la relazione e la cura dell’altro nella realtà che ci circonda.
Dunque, la spiritualità cristiana non solo non incoraggia e non genera nessuna fuga dalla realtà e dalla storia, ma anzi rimanda il credente alla propria quotidianità, invitandolo ad assumersene le sfide e le fatiche e chiamandolo a sentirci attivamente partecipe del destino della realtà in cui vive.
Tra fede cristiana e quotidiano c’è una intima connessione in duplice senso: da una parte, la vita quotidiana, pur con la sua monotonia o la sua apparente assenza di elementi trascendenti, è un vero spazio sacro, dall’altra parte, il quotidiano, con le attività che portiamo avanti ogni giorno, le domande, le battaglie, le fatiche, i sogni, è lo spazio in cui lo spirito prende corpo e si realizza.
Certamente, l’attuale ritorno del sacro e della spiritualità, rappresenta uno spazio interessante che riapre la questione della relazione con ciò che ci trascende, indicando una sete di risposte che vadano oltre l’immediato e il finito. Si tratta di una spiritualità che può essere declinata almeno in tre grandi aspetti:
- Una spiritualità che è accoglienza della vita. La spiritualità di un laico che vive nel mondo di oggi, deve includere tutti gli aspetti della vita: può essere un’azione spirituale anche la capacità di vivere bene il proprio tempo, di abitare con qualità lo spazio della propria casa, di assaporare le piccole gioie della giornata, di fare spazio a un po’ di silenzio, di vivere relazioni umane.
- Una spiritualità domestica. Si tratta di riscoprire e valorizzare la propria storia e la propria casa, quindi nello spazio feriale abituale, laddove si vivono le fatiche e i travagli dei giorni. Questa dimensione andrebbe più strutturalmente inserita nei luoghi della vita, nelle case, nei luoghi della vita quotidiana.
- Una spiritualità della strada. Ogni strada, ogni luogo della vita, ogni incontro diventa una via nelle vesti di chi ci sta vicino e ha bisogno di ascolto, di attenzione, di una parola, o si presenta a noi nelle vesti del forestiero, dello sconosciuto, del povero.
Dunque, una spiritualità del quotidiano è una spiritualità incarnata nella vita reale e feriale; non una mistica separata dalla polvere della storia per essere andata dietro a qualche lontano richiamo filosofico, psichico o emotivo, ma una spiritualità che ci permette di scrivere la nostra storia dentro alle giornate che viviamo, nelle attività che svolgiamo, nelle relazioni che portiamo avanti, nei volti che incontriamo.