di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La ripresa dell’attività politica vedrà, tra l’altro, una prevista iniziativa sulle riforme costituzionali. Il programma iniziale del governo Meloni prevedeva la riforma del nostro sistema politico in senso presidenziale, cioè l’elezione diretta del Capo dello Stato, sostenuto in particolare da FdI.
Ma l’impatto del Presidenzialismo con l’attuale Carta costituzionale sarebbe stato traumatico, in quanto avrebbe modificato alla radice l’equilibrio complessivo dell’ordinamento dello Stato democratico, alterando i rapporti di forza tra i diversi soggetti istituzionali (Presidente della Repubblica, Parlamento, Governo, Regioni ed Enti locali).
La stessa Giorgia Meloni, sulla base di un certo realismo, derivante dall’esperienza di governo, ha preferito scegliere il Premierato, cioè l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, ritenuto meno invasivo, anche se, per altra via, ugualmente contrastante con il suddetto equilibrio, in particolare nei rapporti Premier-Parlamento e Premier- Presidente della Repubblica.
L’obiettivo dichiarato di tale riforma è di ridurre l’instabilità e aumentare l’efficienza del governo, anche se l’insieme dei poteri attribuiti al premier dall’art. 95 della Costituzione, e il modo concreto con cui si esercita l’azione di governo non lasciano intravedere particolari problemi per il Presidente del Consiglio. Anzi, per certi aspetti, oggi il governo deborda frequentemente dai suoi poteri, come avviene nel processo legislativo, nel quale, tramite un eccesso di decreti-legge, sta soverchiando e contraendo il potere e il ruolo del Parlamento.
Quindi se alcuni problemi ci sono, e ci sono, nel funzionamento del nostro sistema politico, la causa fondamentale non sta nella carenza di legittimazione del Premier, ma nella crisi più generale della politica, che è crisi e frantumazione dei partiti, eccesso di leadership presunte, irruzione del populismo nella cultura politica, legge elettorale inadeguata, degrado della classe dirigente.
Per cui l’elezione diretta del Premier non solo non risolve il problema, ma rompendo l’equilibrio istituzionale, da un lato, ridimensiona ulteriormente la centralità e il ruolo del Parlamento, e dall’altro riduce al lumicino la funzione di garanzia e di controllo del Presidente della Repubblica.
La stessa proposta anomala del cosiddetto Sindaco d’Italia applicata al premier, che, sull’esempio degli enti locali, viene eletto direttamente e dura in carica cinque anni, riproporrebbe gli stessi limiti di irrigidimento autoritario del sistema. L’effetto finale di queste proposte sarebbe quello di avvicinare il nostro sistema a quello presidenziale americano e al semi-presidenzialismo francese, cioè fuori dall’assetto parlamentare previsto dalla nostra Costituzione.
Tuttavia, se si vuole conferire qualche attribuzione in più al Presidente del Consiglio, esiste un altro modo senza passare dall’elezione diretta. Una via già discussa fin dall’Assemblea costituente quando, con l’ordine del giorno Perassi, si respinse la proposta di elezione diretta del premier ma si proposero alcune misure tese a rafforzare il suo ruolo nell’attività dell’esecutivo. Ipotesi ripresa da successivi tentativi di riforma, sull’esempio del cancellierato tedesco, senza tuttavia riuscire a tradurli nella realtà.
In concreto si tratterebbe di aumentare il potere del premier con una sua partecipazione nella nomina e revoca dei ministri, nella possibilità di prevedere lo scioglimento delle Camere, nella sfiducia costruttiva. Allo stato, pur mancando ancora un preciso Ddl sul premierato dei partiti di governo, la linea di FdI rimane ancorata alla elezione diretta, anche per bilanciare la riforma dell’autonomia regionale differenziata, cavallo di battaglia della Lega, che alla sua approvazione annette la stessa sopravvivenza del governo.
Sappiamo che il governo ha, in questa fase, tanti altri problemi da affrontare, a cominciare dalla complicata manovra per il prossimo anno, per cui la riforma costituzionale, avendo tempi di realizzazione oggettivamente diversi, potrà anche essere rinviata a tempi successivi. Le prossime settimane, con la presentazione del Ddl della maggioranza si capirà se il governo Meloni è intenzionato a procedere verso una riforma costituzionale dirompente o se la riforma del premierato sarà utilizzata per un ennesimo scontro interno su riforme contrapposte e, come tali, a somma zero.
In ogni caso è certo che il tema costituzionale, toccando i valori identitari dell’Italia, mantiene tutta la sua delicatezza e rilevanza, e richiede, da parte di tutti i democratici, il massimo di attenzione e, se necessario, una opposizione radicale attraverso l’uso di tutti gli strumenti legittimi, compreso il referendum abrogativo. Mentre appare evidente che una maggioranza possibile esisterebbe nel caso di premierato senza elezione diretta.
Le forti difficoltà economiche e sociali che vive oggi il Paese non consentono diversivi di sorta per cui è indispensabile dare risposte su questi problemi, lasciando da parte battaglie ideologiche e identitarie dei singoli partiti della maggioranza che quasi certamente farebbero perdere tempo e risorse, lontani se non assenti dalle urgenze dei cittadini.