di Massimo Mantellini. Giornalista, scrittore. Pubblicato nel blog dell'autore il 22 settembre 2023.
La recente ampia discussione su AI (Intelligenza artificiale) e copyright non è altro che la versione attuale di un vecchio problema. I detentori dei diritti rivendicano l’originalità del proprio lavoro e le norme commerciali che ne regolano l’utilizzo. Dicono – insomma – che Chat GPT e i suoi fratelli non possono leggere un libro di Jonathan Franzen per poi trarne un nuovo libro che gli somigli.
È un problema vecchio e ogni volta chi lo solleva si dimentica dell’ovvio: tutto quello che chiamiamo creatività non è la scintilla scaturita dal nulla ma un’inevitabile rielaborazione – talvolta geniale altre volte meno – di tutto quello che c’era prima. Il risultato di quello che l’artista ha visto, letto e ascoltato. Il confine fra creazione e citazione è per questo ogni volta labilissimo, ogni volta il creatore (lo scrittore il musicista il pittore ecc.) rivendicherà il ruolo marginale di quella che definirà “influenza”, ogni volta provando a farci un’idea al riguardo entreremo in uno spazio discrezionale molto ampio. Disney cita Hugo o lo copia spudoratamente senza nemmeno citarlo? Chat GPT cannibalizza Franzen o lo utilizza per creare un nuovo prodotto del tutto differente?
La (grande) novità è che oggi le opere derivate le produce una macchina, con la potenza di fuoco che hanno le macchine e quindi dentro economie di scala del tutto nuove. Lo stesso fenomeno accade però da secoli, forse dai tempi di Dickens, anche se ovviamente in misura ridotta. L’ulteriore complicazione risiede nel guadagno atteso: l’imitatore di Franzen non è uno scrittore che copiandolo gli porta via i lettori ma è un tizio sbucato dal nulla che guadagna in altra maniera e che mentre lo fa – come per un effetto collaterale – intacca (forse) gli incassi di Franzen.
Il mondo – in ogni caso – è già oggi pieno di romanzi simili a quelli di qualcun altro, ma non esisteva ancora una macchina che ne produce 100 al minuto. E questo preoccupa gli autori molto più dei loro imitatori in carne e ossa.
Mentre questo accade il problema principale, che è un tipico problema di “bassa risoluzione”, rimane sullo sfondo. La domanda che dovremmo farci è questa:
tutto questo crea una diminuzione del valore complessivo per la comunità?
Noi sappiamo già oggi che le copie godono di grande successo e che questo fenomeno negli ambienti digitali si acuisce ulteriormente. I romanzi di Franzen riscritti da ChatGPT nella loro ricaduta complessiva, che prescinde dagli interessi di Franzen stesso, peggiorano o migliorano il mondo?
Mentre tutti parlano dei loro soldi e dei loro meriti l’etica complessiva degli ambienti digitali – la qualità della società in cui viviamo, sembra non interessare a nessuno.
Detto in altre grossolane parole: ChatGPT ci rende più o meno stupidi di quello che oggi siamo? Se la risposta sarà “sì ci rende più stupidi” allora utilizziamo pure la scusa del copyright per limitarne gli effetti, se la risposta sarà “no non ci rende più stupidi, anzi” allora chissenefrega dello Statuto di Anna, del Copyright, delle case editrici e di Jonathan Franzen.
Il problema è che rispondere a una simile domanda non è per nulla facile.