di Riccardo Bonacina. Pubblicato in Vita del 30 settembre 2023.
Questa settimana sono andato con Samba, giovane gambiano di 22 anni che nel 2019 ho ospitato a casa mia per qualche mese nel periodo delicato della fine protezione come minore non accompagnato (MSNA) che scade al compiere dei 19 anni d’età, a vedere il film di Matteo Garrone Io capitano.
Samba non solo parla la stessa lingua, il wolof, di Seydou e Moussa, i due sedicenni protagonisti del magnifico film, ma come loro ha seguito lo stesso itinerario, le stesse piste, gli stessi pericoli, anche lui aveva 16 anni quando decise, orfano di padre e senza mamma di inseguire il suo sogno di diventare un calciatore famoso incamminandosi, con un amico (anche qui il parallelo con i due cugini del film) verso il Senegal, nazione leader calcisticamente per i gambiani.
Gambia, Senegal, Mali, Niger, Libia e poi la traversata su un barchino (molto più piccolo del peschereccio del film), il salvataggio della Guardia costiera e infine lo sbarco in Calabria.
Come Seydou e Moussa, Samba non è scappato da guerra e carestie, ha solo inseguito un sogno, ha solo cercato di immaginare un futuro più desiderabile del suo presente, un sogno che lo ha messo in cammino.
Un cammino pericoloso; Samba quando racconta della Libia non racconta, parlano i suoi occhi che diventano tristi e che trattengono lacrime. Per loro il nostro continente è uno stile di vita: è il calcio, che guardano in tv ed è la musica giovanile, che ascoltano la sera su YouTube. “È perché non hanno paura del futuro che ce la faranno, tra mille pericoli e insidie, crudeltà e torture, oltrepassando i limiti delle proprie forze fisiche e morali.
Sono come gli esploratori di un tempo, come i conquistatori di nuovi mondi”, ha scritto giustamente Antonio Polito.
Una “Teen immigration” l’aveva definita Anna Granata, pedagogista dell’Università di Torino in un bel libro: “In tutta la storia d’Europa non si era mai verificata una migrazione di ragazzini di queste dimensioni, decine di miglia di ragazzini. Per capire cosa stia accadendo servono intelligenze nuove e occhi (e cuori) capaci di leggere in filigrana la varietà delle storie individuali.
Partono poco più di bambini, poi tutto cambia: paura, prigionie, lavori forzati, torture, abbandoni, solitudini grandissime ritornano nei racconti dei ragazzi che sono riusciti a raggiungere l’Italia. Il viaggio li trasforma, li rende grandi molto in fretta, li separa forzatamente dai propri affetti ma, al tempo stesso, amplia la loro capacità di adattarsi, di apprendere nuove lingue e nuovi stili di vita”.
Insomma, una ricchezza per il nostro Paese, non un problema. Samba ora lavora in una fonderia, ha una casa, ha preso la patente, ci chiama mamma e papà, ma è un vero adulto, autonomo, una ricchezza per noi e per l’Italia.