di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
Risulta ormai coscienza comune che la sanità pubblica è diventata la più evidente parte in difficoltà del nostro welfare, dopo i positivi traguardi raggiunti in passato con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale.
Gli effetti devastanti della Pandemia sull’intero sistema, l’accelerato invecchiamento della popolazione con la relativa crescita della domanda di assistenza, l’esigenza di nuovi investimenti in tecnologia, la legislazione recente nel settore che ha privilegiato il pareggio di bilancio sugli investimenti, rapportati con la crisi strutturale dei nostri conti pubblici, hanno determinato un processo di disinvestimento diffuso che ha ridotto la qualità dei servizi e fatto progressivamente regredire l’intero sistema.
La situazione è tale per cui, a legislazione vigente, nel 2024 è previsto un calo delle risorse, a disposizione del SSN, di 3,3 miliardi, che passerebbero da 136 miliardi a 132,7, a fronte di una manovra di bilancio con insufficienti risorse e già destinate. Risulta perciò facile prevedere che la sanità pubblica sarà al centro del dibattito e dello scontro sulla prossima manovra.
Un quadro realistico della situazione, e dei suoi non facili problemi, risulta da una approfondito rapporto della Corte dei conti sulla sanità territoriale desunta dai bilanci delle Regioni italiane, indagata su tre aree specifiche: ospedali, medicina territoriale e prevenzione, alla luce del livello dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) erogati. In termini generali risulta che 7, tra Regioni e Province autonome, su 21 hanno punteggi insufficienti a livello di Lea in una o più aree. Si tratta di Valle d’Aosta, Provincia di Bolzano, Molise, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Lo stesso rapporto mette in evidenza che le risorse disponibili son importanti, ma da sole non risolvono il problema.
La correlazione tra il livello della spesa e la qualità dei servizi non è scontata, tanto che la Regione Molise, nell’area degli ospedali, pur essendo in testa nel livello di spesa pro-capite offre un livello di servizi insufficiente. Nella stessa area, la prestazione migliore è quella della Provincia di Trento, seguita dall’Emilia-Romagna e Toscana. La Lombardia e il Veneto seguono a poca distanza sia nelle prestazioni che nella spesa pro-capite.
Nell’area Prevenzione in testa per qualità delle prestazioni è risultato un trio di Regioni formato da Umbria, Toscana ed Emilia-Romagna, mentre con livelli di prestazioni insufficienti risultano Valle d’Aosta, Provincia di Bolzano e Sicilia. Infine, nell’area Medicina territoriale al summit delle prestazioni si trovano quattro Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Lombardia mentre in coda navigano Valle d’Aosta, Calabria, Campania e Sardegna. Va sottolineato che classificando da 0 a 100 il valore dei Lea e considerando insufficienti quelli inferiori al 60%, la media dei valori di fatto nelle tre aree delle Regioni di testa e quelle di coda risultano rispettivamente intorno al 90% e al 50%, per cui la distanza qualitativa delle prestazioni, tra testa e coda, risulta piuttosto rilevante.
Tenendo presente che la gestione della sanità pubblica rappresenta una delle attività più rilevanti delle Regioni acquista quindi un certo valore di test della qualità dell’attività regionale, il quadro, nel complesso, suscita evidenti perplessità anche in relazione alle intenzioni del governo di approvare il Ddl Calderoli sull’autonomia regionale differenziata. Come è noto, tale Ddl proposto dalla Lega in termini pressoché ricattatori, secondo la regola “O passa o salta il governo”, solleva perplessità anche dentro l’esecutivo tanto che Meloni e FdI lo collegano direttamente all’approvazione della legge sul Premierato, rendendo così incerta l’intera operazione.
Questo modo di procedere, comunque a testa bassa, solleva non pochi interrogativi perché appare destinato a realizzare un ennesimo errore. Prima di procedere risulta assolutamente necessario maturare una valutazione comune, almeno nella maggioranza, su qualità ed efficacia dell’attività delle Regioni dopo oltre 50 anni di vita, per individuare meglio le direttrici della nuova legge.
Il gruppo di lavoro Cassese ha già individuato alcuni problemi che spingono alla prudenza e altri si possono aggiungere. In ogni caso, il permanere di un rilevante e diffuso divario delle Lea tra le Regioni unito ad dissenso esplicito di gran parte della società meridionale consiglia di soprassedere e di creare le condizioni per realizzare una vera autonomia regionale secondo l’Art. 117 della Costituzione.
Non ultimo ma determinante, rimane poi il problema dell’assenza di risorse per il finanziamento. Procedere trascurando i problemi reali mette in ulteriore difficoltà il governo, rendendo ancora più incerto il suo cammino. I complotti veri non sono quelli inesistenti creati da altri, ma la logica conseguenza di quelli determinati dallo stesso esecutivo con le sue scelte scriteriate.