di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico. Focus senilità Focus fine vita
Negli ultimi tempi il Consiglio regionale Veneto è stato direttamente coinvolto da due progetti di legge relativi alla regolazione del fine vita con l’obiettivo di individuare una soluzione al problema del rapporto tra riduzione del dolore e rispetto della dignità umana in relazione alla fine dell’esistenza umana.
Un primo progetto di legge di iniziativa popolare, presentato dell’associazione Luca Coscioni, dal titolo “Liberi subito”, che intende regolare il suicidio medicalmente assistito, in alternativa alla sedazione profonda, e ne affida l’esecuzione al Servizio sanitario nazionale.
Il secondo progetto, di segno opposto, su iniziativa dei consiglieri Valdegamberi (gruppo misto) e Finco (Lega), fondato su maggiori investimenti relativi alle cure palliative e all’assistenza sanitaria a persone affette da malattia terminale, con divieto di eutanasia.
Mentre il presidente del consiglio regionale Ciambetti ha indirizzato una lettera all’Avvocatura dello Stato per chiedere un parere circa la possibilità o meno che l’oggetto di tali iniziative rientri nella competenza legislativa regionale, l’avvio del dibattito, com’era prevedibile, si è sviluppato lungo prevalenti orientamenti ideologici, pro o contro il suicidio assistito, dando vita ad uno scontro tra due raggruppamenti considerati sbrigativamente pro-vita e pro-morte. Credo invece che un approccio politico serio ad un problema complesso, considerato in tutti i diversi aspetti chiamati in causa, debba essere più rigorosamente orientato alla realtà della vita di oggi.
Il primo aspetto da considerare, e che risulta fondamentale, è costituito dall’aumento progressivo della aspettativa di vita realizzata negli ultimi decenni. Un risultato di notevole valore, frutto dei progressi realizzati dalla migliore qualità igienica dell’esistenza, dall’alimentazione, dalla prevenzione e cura delle malattie. Tuttavia, con il progredire della vita può avvenire che, nonostante i suddetti miglioramenti, aumenti un certo decadimento fisico e psichico, perdita di autosufficienza, aumento di disfunzioni che riducono progressivamente il grado di salute e di consapevolezza.
Talvolta, la presenza di malattie allo stadio terminale, con aumento di sofferenza e situazioni di insostenibilità senza prospettive di guarigione, nelle quali la vita rimane strettamente legata a una progressiva dipendenza dalle macchine. Finora la scienza medica è intervenuta aumentando le cure palliative per ridurre il dolore e, nei casi più gravi, con sedazioni profonde che rendono sempre meno effettiva la condizione del vivere. In generale sono queste le condizioni che spingono verso il porre fine prematura a un’esistenza della quale non si riscontra più un senso.
Personalmente credo che, in tali condizioni, entri il gioco anche il valore ed il senso che si annette alla vita per cui, di fronte a difficoltà estreme, si ritiene inevitabile porvi fine, anche con la convinzione che in tal modo si eserciti il diritto di disporre della propria esistenza. In realtà, una corretta valutazione della nostra natura e l’esperienza ci dicono che la vita umana è un bene fondamentale che occorre sempre difendere e salvaguardare sia contro i pericoli esterni (violenza, guerra, stragi) che quelli interni (malattie e incidenti), e che la sua salvaguardia e il suo sviluppo attengono all’essenza dell’essere umano e della civiltà. Per cui va evitata la scelta di procurare, con un intervento attivo, la fine della vita.
Credo invece che accanto ai necessari interventi palliativi sia necessario anche riscoprire la dimensione naturale del fine vita per cui il rapporto con la morte deve tornare più concretamente a far parte della normalità della vita. Riportare, cioè, l’evento del fine vita a una dimensione normale vissuto più in famiglia, tra i propri cari, che in un anonimo ricovero ospedaliero.
Tuttavia, la qualità e la dimensione assunta oggi dal fine vita, con i diversi problemi annessi, richiede una regolazione con norme specifiche che, data la sua natura non va definita a livello regionale ma nazionale, per evitare un indebito pluralismo nella soluzione di un problema comune. In tal senso offre una prospettiva realistica quanto ha indicato la Corte costituzionale con la sentenza n. 242 del 2019 che individua le condizioni che non rendono punibile che aiuta un malato terminale ad andarsene.
Tali condizioni sono: l’accertamento medico di patologia irreversibile del malato e di grave sofferenza fisica e psicologica, dipendenza del malato da trattamenti meccanici e di sostegno vitale, piena capacità del malato di intendere e di volere e sua chiara manifestazione di volontà, dopo essere stato adeguatamente informato. La compresenza di tutte queste condizioni rende oggettivamente il suicidio medicalmente assistito una eccezione al limite, mentre la difesa della vita anche verso la fine, con le relative cure palliative, rappresenta l’essenza dell’umano.