di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
Le ultime scelte del governo Meloni, rigidamente guidate dalla Premier, dimostrano come l’orientamento politico di questo esecutivo si sta sempre più allontanando dallo spirito e dalla lettera della nostra Costituzione. Un problema molto grave di cui occorre prendere coscienza per evitare che questo processo degenerativo non superi i limiti invalicabili della nostra Carta fondamentale, con danni forse irreparabili alla nostra democrazia.
Uso termini forti anche per evitare una preoccupante assuefazione alla situazione presente che può rappresentare il primo passo verso un cambiamento strutturale della nostra Repubblica. Il primo elemento di preoccupazione è dato dalla proposta di Premierato, della quale non si conosce ancora il testo definitivo in Parlamento, a riprova del tatticismo che l’accompagna, e della sua finalizzazione a breve traguardata alle prossime elezioni europee.
Senza inoltrarci in analisi dettagliate, il suo significato politico complessivo è una profonda alterazione del delicato equilibrio dei poteri istituzionali sui quali, fin dalla sua nascita, si è retta la nostra Repubblica. Nel caso specifico, con la sua approvazione si determinerebbe un aumento di centralità e di potere del Presidente del Consiglio con un simmetrico ridimensionamento del potere e del ruolo del Parlamento e del Presidente della Repubblica. Con l’aggravante di una regolamentazione minuta che predetermina la riduzione di ruolo di tali due poteri, come nel caso della sostituzione del premier dimissionario con un altro parlamentare della stessa maggioranza.
L’effetto è che il Parlamento, cuore pulsante del potere democratico, viene considerato come un ostacolo da ridimensionare, sia col legiferare tramite i decreti-legge, sia cercando di tagliarlo fuori, in diverse occasioni, dal dibattito e dalle decisioni. Il Presidente della Repubblica, autentica incarnazione dell’identità del Paese, risulta fortemente ridimensionato nei suoi poteri diretti come la scelta del premier e la decisione sul fine legislatura, compresa l’eliminazione dei senatori a vita. In termini costituzionali ciò significa mettere a soqquadro l’intera seconda parte della Carta sull’ordinamento della Repubblica.
Inoltre, questo squilibrio predefinito risulta funzionale a mantenere più a lungo possibile il potere del governo recentemente conquistato, per cui la stabilità dell’esecutivo sarebbe garantita da un vincolo regolamentare indipendentemente dalla qualità del governare. Un secondo motivo di preoccupazione deriva dal recente accordo con l’Albania di trasferire in centri di detenzione di quel Paese i migranti salvati in mare dalle navi dello Stato italiano, allo scopo di impedire il loro ingresso nel territorio nazionale e per esaminare le domande di asilo e cercare di rimpatriarli nei paesi di provenienza.
Tutto ciò a spese e responsabilità dell’Italia, con l’intento, grazie anche all’effetto di dissuasione alle partenze, di ridurre al minimo gli ingressi in Italia che dovrebbero realizzarsi obbligatoriamente trascorsi 18 mesi di permanenza nei centri. Un percorso complicato, fatto di una serie di passaggi territoriali che non si conciliano con il rispetto dei diritti umani dei migranti, garantiti anche dall’art.10 c. 2 della Costituzione, per cui appare facile prevedere un destino di irrealizzabilità dell’intesa.
Ulteriori problemi nascono anche dall’impostazione strategica della manovra di bilancio 2024, tutta giocata su obiettivi a breve finalizzati al consenso, mentre è stata del tutto trascurata la finalità della crescita che rimane il fine fondamentale della legge di bilancio, come indicato dall’art, 81 della Carta. specie nell’attuale situazione economica, caratterizzata da una riduzione delle previsioni di crescita, effetto anche dei gravi limiti manifestatisi nell’attuazione del Pnrr. Quest’ultimo aspetto richiama anche il rapporto con l’Unione europea che rappresenta un altro grave problema del governo di destra.
Oltre alla totale sottovalutazione del Pnrr, che unita alla incapacità di gestione lo ha trasformato da eccezionale occasione di crescita a un colpevole fallimento, il governo italiano sta sempre più assumendo, verso l’Ue, un ruolo ambiguo, non chiaramente motivato, ma che alla fine rallenta e intralcia il faticoso percorso di crescita dell’Europa. Basta pensare, da ultimo, all’atteggiamento dell’Italia sulla ratifica del Mes e sulla riforma del Patto di stabilità che, senza alcuna motivazione razionale, si intestardisce a bloccare tutto per cui l’unico scopo che si intravvede rimane quello di guidare lo sparuto gruppo sovranista antieuropeo.
Così L’Italia, da Paese fondatore e protagonista di prima fila nella costruzione dell’Uè, sta retrocedendo ad un ruolo marginale e sempre più isolato di opposizione fine a sé stessa, in netto contrasto con la disponibilità alla cessione di parte della sua sovranità per la costruzione dell’Europa politica, come indica l’art. 11 della Carta. Uno strappo che cambia alla radice la direzione di sviluppo economico e politico del Paese, riducendo drasticamente le sue prospettive di crescita democratica e civile.
L’insieme di tali posizioni allontanano progressivamente il Paese dalla sua attuale Costituzione per cambiarla in direzione di un sovranismo degradato, sempre più isolato in Europa e nel mondo. Una prospettiva che deriva dalla cultura e dall’identità politica, e che va rifiutata con decisione, in relazione al nostro amore per l’Italia di domani e per il bene delle future generazioni.