di Luigi Viviani. Sguardi al futuro politico.
La manifestazione di sabato 11 novembre, che ha visto in piazza oltre 50 mila presenze, è riuscita e ha dato una certa carica ai militanti Pd. Nel discorso conclusivo, Elly Schlein ha duramente attaccato Meloni e il suo governo perché hanno fallito, ed ha auspicato la costruzione di un'alternativa di governo, che evidentemente ancora non c’è. Credo perciò necessario ed urgente che vengano precisate le condizioni e le scelte affinché questa prospettiva si verifichi.
Innanzitutto, a mio parere, va chiarito che l’opposizione al governo, finora realizzata dal Pd, risulta insufficiente e scarsamente finalizzata alla costruzione di tale alternativa. Limitarsi a criticare duramente il governo di destra su tutta la linea, enumerando le sue numerose scelte sbagliate, senza andare oltre qualche proposta isolata come il salario minimo, corre il rischio di realizzare un semplice controcanto alla critica distruttiva dell’opposizione, che il governo pratica consapevolmente fin dal suo insediamento. In tal modo si tende a consolidare un rapporto di duro scontro che paradossalmente favorisce la legittimazione di fatto di maggioranza e opposizione, in un quadro politico immobile.
In questo contesto la stessa strategia del “Campo largo” finora perseguita in termini di prevalente somma numerica dei consensi di Pd, M5S, Azione, Sinistra e +Europa, si è dimostrata scarsamente efficace in quanto condizionata dalle reciproche diffidenze e da alcuni significativi dissensi, in particolare tra Pd e 5 Stelle, che hanno impedito un livello di convergenza politica minimo, indispensabile per iniziare a dar vita ad un'alternativa di governo. Inoltre, non va trascurato il fatto di dover fare i conti con un potenziale alleato che persegue una linea di segno populista che rende strutturalmente precaria ogni intesa, e obbliga anche a mediazioni nelle quali il populismo pretende, in alcuni casi, la leadership del centrosinistra (vedi le elezioni in Sardegna).
Tutto ciò indica chiaramente che la scelta della definizione di una alternativa al governo Meloni deve partire dal Pd, per conquistare successivamente l’adesione degli alleati. La premessa rimane l’attitudine del partito ad affrontare i problemi in termini di analisi sulla base di un pensiero e di una visione della realtà sostanzialmente comuni che, allo stato, sembra non essere ancora pienamente raggiunta all’interno del Pd. In particolare, va chiarito che si tratta di costruire una alternativa “di governo” alla destra, in un Paese complesso dotato di storia e di annosi problemi in gran parte non risolti, e che quindi necessita di una politica riformista che rifiuta le semplificazioni ideologiche. In concreto si tratta di costruire un solido programma progressista nel quadro di una nuova visione del futuro dell’Italia.
La prima esigenza fondamentale riguarda la salvaguardia dell’equilibrio fondamentale dei poteri dello Stato previsti dalla nostra Costituzione, con il possibile rafforzamento di alcuni poteri del Presidente del Consiglio, nello spirito del cancellierato tedesco, senza la rottura della sua elezione diretta. Poi, dentro la necessità di rimettere il Paese su un percorso di crescita economica e sociale inclusiva, si tratta di formulare precisi programmi di riforma e sviluppo sui priorità più urgenti del Paese come l’istruzione, il lavoro, il welfare e l’Europa. In sintesi, tenendo soprattutto presenti gli effetti di profonda trasformazione determinati dalla rivoluzione delle tecnologie in tutti gli aspetti della vita umana e sociale, diventano essenziali due obiettivi prioritari: la riduzione delle diverse disuguaglianze sociali, rafforzate dall’attuale stallo economico senza riforme, e contribuire ad accelerare il processo di costruzione dell’Unione Europea come strumento indispensabile per partecipare da protagonisti alla definizione del nuovo ordine globale.
Con la consapevolezza che, per effetto del salto tecnologico in corso, l’obiettivo storico fondamentale dell’uguaglianza tra gli uomini, non sarà più legato, come in passato, soprattutto al lavoro, ma dipenderà da una pluralità di fattori che lo farà sempre più coincidere con il grado di umanità che le molteplici condizioni di vita dovranno consentire. Una prospettiva del tutto nuova che impegnerà non poco un centrosinistra che voglia conservare l’identità del cambiamento. L’europeismo attivo dovrebbe rappresentare l’altro tratto identitario fondamentale del Pd come via necessaria per realizzare una cittadinanza europea e globale del nostro popolo. Tra l’altro resa più urgente dalla grave regressione antieuropea di questo governo di destra che ha ridotto l’Italia, da Paese fondatore, a marginale e confuso oppositore di ogni rafforzamento della sovranità europea.
Una alternativa efficace richiede però un nuovo Pd, che la gestione Schlein non ha ancora chiaramente delineato. Serve un partito nuovo, più snello, dotato di identità politica unitaria, con un gruppo dirigente capace di battaglie di merito sui diversi problemi in campo, con un più stretto rapporto di confronto e di dialogo con il proprio elettorato e di vicinanza politica e ideale con gli strati della popolazione più vulnerabili e sfavoriti. Credo che progredendo in queste direzioni il Pd potrà riaprire una concreta speranza di una alternativa di governo che riporti l’Italia sul terreno della crescita economica, civile e democratica. Fuori dall’incubo nel quale, per responsabilità di tutti, si è cacciata.