di Sandro Spinsanti. Sguardi alla prossimità e all'etica della salute. Pubblicato nel blog dell'autore il 9 novembre 2023. Focus senilità
Abbinare tempo e cura ci appare a prima vista un’operazione facile. Siamo infatti rimandati, più che a due concetti astratti, a due esperienze. Sappiamo con che cosa abbiamo a che fare quando parliamo di cura: sia quella professionale, alla quale facciamo ricorso quando siamo malati, sia quella esistenziale, evocata dall’espressione inglese: Take care, “abbia cura di te”. Forse meno intuitivo è il tempo, che pure scandisce la nostra vita. Ci accompagna l’ammonimento di sant’Agostino: se qualcuno mi chiede che cosa è il tempo, lo so; ma se mi tocca spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più. Comunque, sia la cura che il tempo più che due concetti astratti, sono esperienze vissute. Per quanto riguarda le esperienze del tempo, per renderci conto della loro molteplicità è utile aggiungere al tempo un aggettivo qualificativo.
Il tempo contato, anzitutto. Contiamo i minuti – per dire – che ci separano dalla partenza del treno e ci domandiamo se riusciremo a prenderlo o se lo mancheremo. È il tempo che scandisce le nostre giornate: 24 ore, per 365 giorni dell’anno. Le nostre azioni dipendono dal tempo che vi dedichiamo. Che il tempo possa essere dilatato è un’esperienza forse meno frequente. Diventa evidente se lo confrontiamo con il tempo ristretto. Tra l’uno e l’altro intercorrono anche grandi cambiamenti culturali.
Come annota la scrittrice Margaret Atwood in Vecchi bambini perduti nel bosco – una raccolta di racconti centrati sulla grande età e sui cambiamenti che introduce nel vissuto delle persone – il contesto sociale in cui siamo immersi modifica il tempo che intercorre tra le relazioni umane. Rievocando il passato, osserva: “Quanto tempo si passava ad aspettare. Ad aspettare senza sapere. Quanti spazi in bianco che non potevamo riempire, quanti misteri. Che scarsità di informazioni. Adesso siamo nel primo decennio del Ventunesimo secolo, lo spazio-tempo è più denso, è affollato, a malapena riesci a muoverti perché l’aria è piena zeppa di questo e quello. Non c’è verso di sfuggire agli altri: sono in contatto, ti toccano, sono vicinissimi. È meglio o peggio?”.
Praticare una medicina “slow” equivale a una medicina riflessiva. Il tempo giusto va misurato sulla volontà della persona di prendere in mano la propria vita. Domande difficili, come: “Dottore, quanto tempo mi rimane?”, possono essere cruciali in questo scenario. Prerequisito è che si sia compiuto il lungo cammino esistenziale che sfocia nella consapevolezza. L’essenziale è rendersi conto che la buona cura alla quale aspira la nostra cultura può richiedere tempi differenziati. Sempre, tuttavia, va fatta in maniera condivisa.
Quando nel contesto sanitario si propongono comportamenti che concretizzano la buona medicina come la si desidera nel nostro tempo, risuona spesso l’obiezione da parte dei professionisti: “Ma chi mi dà il tempo per praticare la cura diversamente da una sequenza di prestazioni, eseguite nel minor tempo possibile?”. Certo, la scarsità del personale sanitario è un problema reale, al quale non si può rispondere solo con esortazioni filantropiche. Inevitabilmente questa situazione si ripercuote sul tempo da dedicare alla cura.
Inoltre l’età avanzata di coloro che hanno bisogno di cure e la complessità delle pluripatologie che fanno da corteo alla cronicità richiedono indubbiamente più tempo dei trattamenti delle acuzie. Tuttavia sarebbe riduttivo misurare la cura solo con la quantità del tempo impiegato. È anche la qualità del tempo che va presa in considerazione. Anche un tempo lungo non è detto che sia appropriato, né che cada tempestivamente; bisogna anzitutto capire i bisogni e quale tipo di tempo risponde ad essi. Una vera cura in modalità slow richiede un impegno di testa – di cuore – di mano da parte sia dei professionisti delle cure, sia da parte di quelli che le richiedono e le ricevono. Il tempo appropriato nel percorso di cura è il frutto più prezioso di quel rapporto che si traduce in un’alleanza: un’alleanza terapeutica.
sintesi di Alessandro Bruni
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