di Maurizio Bonati. Editoriale di Ricerca e pratica di settembre-ottobre 2023.
I recenti fatti di cronaca nazionale ribadiscono la cronica disattenzione nel garantire i diritti a donne, bambini e adolescenti (e alle rispettive famiglie). Non è una condizione solo nazionale, come i vari rapporti internazionali che si susseguono documentano, evidenziando i fattori di rischio su cui agire con appropriati interventi per ridurre-contenere le sequele negative sulla vita intera di un’ampia fascia di popolazione.
Attribuire solo alla mancanza di risorse (economiche e umane) – senza che si affrontino i principali nodi rappresentati dalla mancanza di strategie politiche per una riorganizzazione qualitativa dei servizi sociali e sanitari che rispondano ai bisogni attuali della popolazione – rappresenta solo una parziale attenuante.
Promuovere la salute e lo sviluppo (la vita) dell’intera popolazione riducendo le disuguaglianze che si amplificano vieppiù nel tempo con interventi preventivi e precoci rimane un bisogno inevaso.
La salute e lo sviluppo dei bambini sono soprattutto nelle mani e nella testa dei loro genitori, ma questo non basta, come sappiamo e constatiamo quotidianamente. Prendersi cura dell’infanzia a partire dalle famiglie è una delle priorità di una strategia volta al bene comune.
Garantire le migliori opportunità per condurre e sviluppare la propria e altrui vita è l’espressione contenitiva di tutti i diritti umani e di quanto e a quanti sono ancora negati: le morti sul lavoro (1090 gli infortuni sul lavoro nel 2022 di cui 790 mortali)4, le violenze sulle donne e i minori, i femminicidi, l’accoglienza dei migranti, il diritto alla salute… che induce il presidente Mattarella a richiamare la ministra Calderone a “fare di più”.
Se il “fare di più” per l’accoglienza dei migranti, molti minori non accompagnati, donne gravide, molte ragazzine, è l’istituzione di nuovi Cps (Centri di permanenza per il rimpatrio) con l’allungamento dei tempi massimi di trattenimento per il rimpatrio, indica una visione cieca degli esiti degli interventi in tema di migrazione sinora attuati e ancor più di quello che si dovrebbe-potrebbe fare per “accogliere” e non “detenere” gli ospiti sopravvissuti a tragedie.
La risposta emergenziale, securitaria e demagogica, con cui si è risposto alle violenze subite da tempo da minorenni a Caivano (ma da quanti minorenni? In quante Caivano?), in un clima “tossico” e confinato-controllato-ignorato da tempo, testimonia la mancanza di respiro, volontà e capacità di intraprendere quei percorsi che hanno “l’infanzia in testa”. Il “decreto Caivano” documenta l’ignoranza di quanto sinora prodotto in termini di efficacia con interventi di accompagnamento che creano opportunità di (r)inserimento sociale “di singoli e formazioni sociali”. Gli interventi punitivi previsti (inasprimento dei provvedimenti carcerari per i minori, riduzione dell’età del daspo urbano, la custodia cautelare anche dei minorenni...) risultano inefficaci senza un accompagnamento educativo. Così come ipotizzare di ridurre l’abbandono scolastico con la pena fino a due anni di reclusione per i genitori: un abbandono che ancor prima dei figli è stato dei genitori e che quindi più che in carcere, entrambi, andrebbero (ri)accompagnati e sostenuti a scuola.
La genitorialità inizia prima della nascita del figlio, prima ancora del concepimento, e va costruita e modulata nel tempo, anche quando i figli sono adulti. Visioni controtendenza in un contesto in cui il “fluido” confonde valori e giustifica la negazione di diritti. Essere “in testa” o “nella testa di” non basta, bisogna agire affinché l’infanzia sia “alla testa”, una neoavanguardia per la formazione dei singoli e della comunità.
sintesi di Alessandro Bruni
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