di Maria Frega. Pubblicato in Forward di ottobre 2023.
In principio ci furono una cantante e un’attrice. Nel 2005, Kylie Minogue rese pubblica la sua diagnosi di cancro al seno. In Australia, il suo Paese, la copertura giornalistica sui tumori femminili immediatamente aumentò del 20 per cento e le prenotazioni di screening, come la mammografia, crebbero del 40 per cento in poche settimane.
Nel maggio 2013, con un editoriale sul New York Times, Angelina Jolie condivise una scelta medica clamorosa. In ragione dell’alto rischio di sviluppare un tumore, scoperto dopo test genetici, spiegò: “Ho deciso di sottopormi a una doppia mastectomia preventiva. Scelgo di non mantenere privata la mia storia perché ci sono molte donne che non sanno che potrebbero vivere all’ombra del cancro. La mia speranza è che anche loro possano sottoporsi al test genetico e che, se corrono un rischio elevato, anche loro sappiano di avere opzioni valide”.
Una ricerca sistematica ha evidenziato reazioni simili al caso precedente: +285 per cento di segnalazioni per tumori femminili e +80 per cento di richieste di test genetici. Sebbene la scelta di Jolie sia stata più consapevole e mirata, i due episodi potrebbero essere considerati pionieristici del potere mediatico dei personaggi pubblici nel campo della salute.
Immenso spazio pubblicità
Oggi sotto alcuni account da centinaia di migliaia di follower compaiono le etichette di influencer di ogni genere, impegnati nel campo della salute: “med-influencer”, “health-influencer, “pharma-influencer”. Spesso non sono medici né ricercatori e nemmeno giornalisti scientifici. Con quelle etichette si oltrepassa il concetto, già vago, di divulgazione o di education, per trasformare in “consiglio per gli acquisti” un’esperienza personale, uno stile di vita, sponsorizzati da brand di cosmetica, di integratori alimentari, di cliniche estetiche, di pratiche pseudomedicali.
Insomma, una volta c’era solo “Dottor Google”, cioè quella (insidiosa) ricerca di sintomi e relative diagnosi in cui chiunque si è cimentato almeno una volta nella vita; oggi l’influencer marketing ci coinvolge scrollando video e persino meme.
Il mercato degli influencer sui social media in Italia è stimato in circa 280 milioni ed è in crescita; a livello mondiale il giro d’affari sfiora i 14 miliardi. Dei 350mila creator italiani, che vantano numeri sufficienti per influenzare e svolgono attività promozionali, sono ancora in pochi a occuparsi di salute. Solo il 15 per cento di loro si occupa di fitness e benessere, per esempio. Da quando l’audience dei mass media tradizionali è stata superata da quella dei social network, il campo delle promozioni commerciali è diventato immenso e libero, troppo libero. Se le forme di pubblicità pervasive, occulte, menzognere diventano un rischio solo per le finanze dei consumatori, quando investono la salute dei cittadini occorre vigilare e regolamentare.
Il lento iter italiano
Pochi mesi fa, a metà luglio, l’Agcom – Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – ha avviato una consultazione sulle “misure volte a garantire il rispetto, da parte degli influencer, delle disposizioni del Testo unico dei servizi di media audiovisivi”. In sostanza, si chiede ai creator di Instagram, TikTok e YouTube (per citare i social più vivaci in termini di traffico e business) di rispettare le regole dei fornitori di servizi audiovisivi tradizionali. Oltre alle premesse e alle istruzioni per partecipare alla consultazione, l’Agcom non ha ancora fornito aggiornamenti. L’estate 2023, tuttavia, è stata molto vivace su questi temi e due Paesi europei – Francia e Spagna – hanno già avviato la creazione di norme per le attività degli influencer.
I veti e le sanzioni della Francia
A giugno, il parlamento francese ha approvato, all’unanimità, una legge sulla regolamentazione delle attività promozionali degli influencer, fino ad allora non considerate come pubblicità e dunque al di fuori di ogni garanzia di affidabilità o veridicità. Si tratta di norme alle quali hanno concorso tutti i partiti e sono mirate a definire nei dettagli il settore e i suoi operatori. Questi sono identificati come coloro che “dietro compenso, utilizzano la propria notorietà per comunicare, sui media online, contenuti volti a promuovere, direttamente o indirettamente, beni, servizi o qualsiasi causa”. È evidente come la salute interessi il legislatore francese che, tra i divieti previsti, include: la promozione di pratiche come la chirurgia estetica e l’astensione terapeutica, le campagne contro l’accanimento delle cure, così come la pubblicità a dispositivi medici e prodotti contenenti nicotina. Resta, invece, fuori dalla normativa, che tuttavia non ha concluso il suo iter, l’alcol. Sono state comprese invece le applicazioni tecnologiche finalizzate a ingannare i consumatori: le immagini promozionali di prodotti cosmetici veicolati con i filtri digitali sono permesse ma occorre dichiararlo. Come ogni legge, sono previste le sanzioni per i trasgressori: fino a due anni di reclusione e 300mila euro di multa.
La Spagna contro il junk food
In Spagna nel mirino del legislatore ci sono gli influencer del junk food, ovvero del cibo spazzatura. Con una legge attualmente in discussione, il governo vuole vietare la pubblicità che dai social è indirizzata ai giovani, per promuovere uno stile di vita sano. Quattro bambini su dieci, infatti, sono in sovrappeso e negli ultimi vent’anni la popolazione infantile obesa è raddoppiata. La causa del problema, si sa, è multifattoriale, perciò gli enti spagnoli hanno messo in campo una strategia a largo raggio, elaborata con le indicazioni dell’Unicef, dell’Organizzazione mondiale della sanità e di enti di ricerca. La regolamentazione dell’influencer marketing di merendine e bibite gassate ultra zuccherate, però, è attualmente in stallo. Per questo i consulenti scientifici che hanno partecipato al comitato scientifico hanno firmato un appello, pubblicato su The Lancet, per accelerare il processo di regolamentazione.
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