di Giuseppe Maiolo. Psicoanalista del costume e delle età della vita. Pubblicato nel blog dell'autore il 29 novembre 2023
Una questione plurale su cui riflettere, perché il femminicidio è solo il dato finale.
Il maschile non è solamente un genere e una caratteristica biologica come dato di appartenenza definito dal sesso che connota un maschio, è un universo di elementi in grado di regolare il mondo delle relazioni sia interiori e individuali che esteriori e collettive, soprattutto rivolte al femminile, «l’altra metà del cielo».
In questi giorni di diffusa sofferenza per l’ennesima donna massacrata se ne sono sentite tante di considerazioni sul maschile distruttivo e violento.
Tanti sono stati i commenti (a volte appropriati) e tante le riflessioni, le emozioni, le idee (finalmente) esposte per contenere la mattanza del femminile, e numerosi i cortei di femmine ma soprattutto (menomale) di maschi disposti (almeno nelle intenzioni) ad affrontare una questione che non è più individuale ma collettiva e plurale.
Quello del maschile abusante è un problema che si pensava almeno in parte modificato, invece ci siamo accorti che è ancora radicato nella cultura attuale dei giovani a cui abbiamo passato il nostro universo polarizzato e violento.
Perché il femminicidio è connesso direttamente con la violenza di genere, e la dimensione offensiva del maschile che parte da lontano ancor prima del maltrattamento, cresce con un’educazione povera che non fornisce strumenti per gestire le emozioni e inizia con parole che tagliano, senza che nessuno dia contenimento, che offendono o umiliano una donna in quanto donna senza che nessuno insegni il rispetto.
Il femminicidio è il dato finale, emergente e spesso a lungo meditato e progettato.
Ma è la punta di un iceberg immenso che contempla una quantità di azioni gestite da un sentire maschile povero di empatia, svuotato di emozioni e non in grado di cogliere cosa accade nelle oscure pieghe dell’anima. In questi giorni ho sentito parlare di cultura maschilista e patriarcale che ancora imperversa.
Ho sentito maschi riconoscersi la responsabilità collettiva della violenza anche se non maltrattanti nei confronti di nessuna donna e altri indignati per una colpa che non gli appartiene.
Non so dire chi ha ragione ma continuo a pensare che sia fondamentale per ogni maschio sapere che parlare di patriarcato non è uno slogan.
Serve invece riflettere sul perché è insopportabile per un uomo accettare che la compagna decida di andarsene e lo faccia o si laurei prima di lui.
Non c’è dubbio che la perdita di un affetto importante sia una ferita profonda ma lo è anche per una donna.
Per un uomo è invece la rottura profonda di un equilibrio, la scoperta di essere cresciuto con l’idea di uomo forte, capace di cavarsela quando invece è fragile e a rischio di rompersi in mille pezzi.
Perché a ben guardare come stanno davvero le cose, e di uomini che hanno esercitato la violenza ne ho conosciuti diversi, spesso ho visto che sanno riconoscere quella degli altri ma non la propria.
Urge allora che i maschi cerchino di scavare dentro quel profondo che gli appartiene. Serve che evitino la nostalgia del passato che spesso corrisponde alla sensazione di aver perso la capacità di autocontrollo e di accettazione delle frustrazioni e superino l’idea di una illusoria di virilità perduta.
Perché quel potere maschile è ciò che giustifica la violenza, la ammette e la mantiene viva.
Ma ai giovani adulti, ai nuovi genitori e agli educatori, serve con urgenza cambiare direzione all’educazione da dare ai bambini.