di Pino Pisicchio. Pubblicato in Paradoxa forum del 20 novembre 2023.
Francamente non saprei dire come si intende computare in Italia la scansione delle repubbliche. Ma il richiamo fatto dalla presidente Meloni sull’avvento della ‘Terza Repubblica’, inteso come promessa e come programma, non è che evochi cose particolarmente liete. Almeno dal punto di vista storico. Viene subito in mente, infatti, la Troisième Republique francese, nata nel 1870 dopo la sconfitta di Sedan e passata alla storia per l’instabilità dei governi, la preoccupante sequenza di scandali finanziari ed anche una cospicua ventata di antisemitismo che caratterizzarono il lungo lasso di tempo fino alla Repubblica fantoccio di Vichy, sotto il tallone dei nazisti.
Lasciamo stare, però, la storia ed atteniamoci alla cronaca politica: dopo mesi di dichiarazioni e di bozze più o meno segrete, ma svolazzanti sulle scrivanie delle redazioni, una stesura ufficiale del famoso disegno di legge sul premierato, che sembra aver ipnotizzato tutta la Destra, Renzi e un po’ di costituzionalisti, ha trovato spazio tra le dichiarazioni ufficiali della presidente Meloni, premier eletto dal popolo in coming.
Non si può, ovviamente giurare che si tratti della versione definitiva, ma i capisaldi sono chiari: si introduce nell’ordinamento un istituto che non c’entra molto con quel che già c’è, perché prefigura l’elezione diretta del capo del governo, trascinato a quel ruolo dalla coalizione vincente. Al destino del ‘premier’ eletto, peraltro, è legato quello della legislatura in base alla clausola simul stabunt, simul cadent: ove mai venisse approvata una mozione di sfiducia al capo del governo, andrebbero a casa tutti. Insomma: il modello guarda, più o meno, ai Comuni e alle Regioni.
Non possiamo dire che prenda ispirazione da altri ordinamenti democratici fuori dal confine nazionale perché l’unica esperienza di premierato elettivo che si ricordi è quella israeliana, peraltro spazzata via con delusione dopo solo tre votazioni. Però, per qualche ragione non pienamente comprensibile, si distoglie l’attenzione da alcuni aspetti di tutta evidenza: il premierato più noto, quello inglese, per esempio, non mette affatto nel conto di eleggere il capo del governo direttamente, ma gli basta che sia il capo del partito di maggioranza uscito dalle urne, proprio per evitare che, in caso di cortocircuito interno alla maggioranza, si debba far ricorso al voto anticipato, evento sempre traumatico per un Paese.
Ma si tace anche sullo squilibrio che la modifica apporterebbe all’impianto costituzionale, a cominciare dal rapporto con il Capo dello Stato, scelto dai grandi elettori parlamentari e designati dai consigli regionali, mentre il premier sarebbe eletto dal popolo, dotandosi di una legittimazione diretta. Il che sconvolge l’assetto attuale dell’ordine costituzionale senza spiegare perché.
sintesi di Alessandro Bruni
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